APPARE EVIDENTE SEMPRE PIU’ LA STRATEGIA ANTI-RAGUSA

Prima o poi dovremo capire a chi noi (si intende noi ragusani) abbiamo rotto i coglioni. Certamente a qualcuno di molto potente oppure qualcuno legato a gente molto, ma molto potente. Non ci può più essere dubbio alcuno su una evidente strategia che tende, e per il momento anche ci riesce, a mettere in difficoltà la provincia di Ragusa. A cominciare proprio dal fatto che la nostra è una delle provincie destinate a scomparire, nel mentre storia e cultura, economia e società imporrebbero di tenerla in vita. Ma le regole sono tali e vanno rispettate: non arriviamo a un tot abitanti e non possiamo essere provincia (e se anche – come auspica il nostro direttore Portelli, dovessero accettare l’invio a sposarsi con gli iblei sia Rosolini che Noto e Mazzarrone, andrebbero via i modicani). Ma al di là della sopravvivenza o meno dell’Ente provincia, la Provincia intesa come area geografia e collettività umana coesa è certamente sottoposta ad una preciso progetto, un disegno finalizzato a romperci le ossa.

 

Di strade non dobbiamo parlarne e dell’aeroporto di Comiso si sta consumando l’epilogo (illuso chi crede che un giorno da quella splendida struttura si possa decollare ed atterrare con aerei che non siano quelli di carta). Tante occasioni perdute, la più grave delle quali è quella giocata con la presenza dell’Università, una vera e propria meteora che sul cielo ibleo è passata per la fortuna di una o due generazioni (meglio sarebbe dire “classi”) di studenti, e poi il vuoto cosmico di una classe dirigente locale che davanti ad un Rettore, per quanto Magnifico, se la fa sotto (qualcuno dovrebbe spiegarmi qual’è la differenza con la Kore di Enna, al centro di un’area economicamente depressa, storicamente meno importante, culturalmente simile).

 

Consoliamoci col bel San Giovanni, al quale chiederemo la grazia di farci tornare come eravamo, e come siamo stati per millenni: rausanazzi, semplici massari con il culto del lavoro prima di ogni cosa, e poi la famiglia e la religione. E siccome il mondo non possiamo – né vogliamo – fermarlo noi, allora ben venga anche la globalizzazione, ma con noi protagonisti (nel nostro piccolo) e non succubi di chissà chi, possibilmente qualcuno nato in città geometriche col dente avvelenato con qualche politico le cui colpe (o meriti?) dobbiamo piangere tutti noi.

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