Il tiranno

Ma se questa non fosse, a cui comandi, / spregiata gente e vil, tu non saresti / del popol tuo divorator tiranno, / e l’ultimo dei torti avresti or fatto.

 

Così Achille, nel primo canto dell’Iliade, apostrofa Agamennone tiranno solo perché la gente a cui comanda è spregiata e vile. L’essere tiranno non è in se ma nella relazione col popolo. Il tiranno esiste solo in quanto riconosciuto, avallato e giustificato dal popolo. Così come anche il leader di un gruppo è tale solo e in quanto riconosciuto come tale dagli altri componenti. Ecco perché i tiranni in carica sono sempre osannati e acclamati e, solo dopo la caduta, incolpati e vilipesi. È successo con Benito Mussolini e sta succedendo con Silvio Berlusconi.

Alcuni versi prima troviamo un giudizio diametralmente opposto

 

O d’avarizia al par che di grandezza / famoso Atride, – gli rispose Achille – / qual premio ti daranno, e per che modo / i magnanimi Achei?

 

E dunque per Achille, i compagni di battaglia, sono magnanimi o gente spregiata e vile? Sono entrambe le cose perché complesso è l’intreccio dei sentimenti nell’anima di ogni persona e complesso l’intreccio delle relazioni tra persone. 

È riduttivo, perciò, parlare male dei tiranni senza indagare sui motivi, sulle ragioni, sui sentimenti dei tanti, in genere della maggioranza dei cittadini, che li hanno osannati e acclamati e, se in regime di formale democrazia, votati. Presentarli come mostri equivale a proiettare all’esterno e a non fare i conti con gli aspetti di mostruosità che sono dentro la maggioranza che ha consentito la loro tirannia.

La smania dell’onnipotenza lucidamente rappresentata nel bel film di Marco Bellocchio “Vincere” non fu solo di Mussolini (o di Hitler) ma ha permeato e pervaso le grandi masse di persone che, in piazza Venezia e non solo, lo hanno osannato nei suoi propositi imperiali e nel giorno dell’annuncio dell’entrata dell’Italia nella terribile avventura della seconda guerra mondiale. Chi portò l’Italia alla rovina e l’Europa alla decadenza – decadenza che tutt’ora continua inesorabile – non furono Mussolini e il suo compare Hitler ma la smania dell’onnipotenza che ha permeato e pervaso tutta l’Europa del secolo scorso.

Certo Mussolini ed Hitler hanno incarnato più d’ogni altro e con più pregnanza questa terribile smania ma è riduttivo e parziale attribuire solo a loro e alla ristretta cerchia della classe dirigente che li ha attorniato la responsabilità di quello che è successo. Senza il riscontro e il consenso delle masse di persone non sarebbero stati capi di governo ma ridicoli fantocci come genialmente rappresentati da Charlie Chaplin nell’immortale film “Il grande dittatore”.

Mussolini ed Hitler non sono stati dei mostri ma geniali interpreti della mostruosità che ha covato nel cuore di tanti europei nel ventesimo secolo. Dopo la fine della seconda guerra mondiale Chaplin ebbe a dire che se all’epoca della lavorazione del film avesse conosciuto la realtà del nazismo e le atrocità dell’olocausto, probabilmente non se la sarebbe sentita di realizzare un film che si prendesse gioco di quei criminali.

Dopo la seconda guerra mondiale, in conseguenza dell’enorme utilizzo di petrolio, si è diffusa la smania del consumismo e del piacere senza limite che trova in Silvio Berlusconi – e non solo in lui – piena incarnazione ed esaltazione ma che permea e pervade grandi masse di persone del cosiddetto mondo del benessere e che, se non frenato in tempo, lo porterà alla rovina. Servirà a poco schernire e deporre Berlusconi, condannare i magnati che hanno portato a fallimento le banche e le industrie automobilistiche più grandi del mondo se non si fanno a pieno i conti con la smania smodata di consumare di tutto e di più da parte di una minoranza contrapposta alla miseria e alla fame del resto dell’umanità.

Nonostante la presa di coscienza degli orrori della guerra e i buoni propositi e la creazione delle Nazioni Unite e la predicazione dei Diritti Umani e l’esportazione della democrazia e bla bla bla di ogni tipo, sono, purtroppo, sempre attuali le parole che il Barbiere-Chaplin dice ai microfoni del Grande Dittatore alla fine del film: «Abbiamo i mezzi per spaziare ma ci siamo chiusi dentro, la macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, pensiamo troppo e sentiamo poco.»

Perché tutti i vertici mondiali sui problemi dell’umanità e dell’inquinamento hanno prodotto scarsissimi risultati nonostante le denunce e gli allarmi degli scienziati? Chiediamocelo. Perché i Capi di Stato sono tutti dei mostri e dei tiranni? O perché sono coscienti che dovrebbero trasformarsi in feroci dittatori per frenare la smania smodata del consumismo? O perché incapaci di trovare una soluzione creativa che dia felicità senza consumismo?

Con la smania del consumismo vanno avviati e fatti i conti nel cosiddetto mondo del benessere e non in termini moralistici o predicatori – rispetto al consumismo nessuno è senza colpa e nessuno è in grado di scagliare la prima pietra – ma in termini politici, con razionalità, con gradualità e, soprattutto, con la capacità di avviare e coordinare una azione politica che alla riduzione dei consumi faccia corrispondere una migliore qualità del vivere, una maggiore felicità. Qualcuno la chiama “decrescita felice”. Se non si trova questa capacità sarà la rovina e saranno altri a imporre amaramente i conti del disastro consumistico. Nel paese dei balocchi ci si diverte per un po’ ma crescono le orecchie e la coda e si diventa somari!

Parsimonia, sobrietà, austerità – l’aveva intuito Enrico Berlinguer negli anni settanta e nessuno gli diede ascolto – sono le parole da sposare e per cui battersi in contrapposizione alle smanie dell’onnipotenza, del consumismo, del piacere senza limite di una minoranza a scapito del resto dell’umanità. La globalizzazione ovvero le interazioni e le interrelazioni tra zone, popoli e aspetti della vita del globo terrestre, non è da considerare un male e neanche un bene, semplicemente è, esiste. Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo. Non ci è dato di scegliere: globalizzazione sì, globalizzazione no. Ci è dato di scegliere come viverla. Io sono per viverla con spirito fraterno. Per altruismo? Perché porto il nome del poverello d’Assisi? No, per egoismo! Perché sono convinto, col poeta, che viverla in modo fraterno è meglio per me e per tutti. Forse mi sbaglio, ma sono convinto così.

 

Ascutami, / parru a tia stasira / e mi pari di parrari o munnu.  

Ti vuogghiu diri / nun mi lassari sulu / nta sta strata longa / chi nun finisci mai / e havi i jorna curti.

Ti vogghiu diri / ca quattr’occhi vídínu megghiu; / ca miliuna d’occhi  / vidinu chiù luntanu, / e ca lu pisu spartutu nte spaddi / diventa leggiu.

Ti vuogghiu diri / ca si t’appoji a mia / e io m‘appojiu a tia / nun putiemu càdiri / mancu si na cura traunara / n’assicuta a vintati.

L’aceddi volunu a sbardu, / cantanu a sbardu, / un cantu sulu è lamientu / e mori ntall’aria.

Unu nun fa numiru, / nasciemmu pi cantari nzemmula / e non pi lassari / eredità di lacrimi / e ripitiu di lamenti. 

[Ascoltami, / parlo a te stasera / e mi pare di parlare al mondo.

Ti voglio dire  / non mi lascire solo / in questa strada lunga / che non finisce mai / e ha i giorni corti.

Ti voglio dire / che quattr’occhi vedono meglio; / che milioni d’occhi / vedono più lontano, / e che il peso diviso nelle spalli / diventa leggero.

Ti voglio dire / che se tu ti appoggi a me / e io mi appoggio a te / non possiamo cadere / neanche se una tempesta / ci rincorre a ventate.

Gli uccelli volano a stormo, / cantano a stormo, / un canto solo è lamento / e muore nell’aria.

Uno non fa numero, / siamo nati per cantare insieme / e non per lasciare / eredità di lacrime / e ripetìo di lamenti.]

da Nun mi lassari sulu di Ignazio Buttitta

  Ragusa, 6 gennaio 2010                                                   

Ciccio Schembari

 

Articolo pubblicato sul n. 54/2010 “Il dittatore” della rivista ondine

 

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