IL DIRITTO DI PARTECIPAZIONE ATTIVA

Come già indicato nel penultimo capoverso del precedente mio articolo, vorrei oggi soffermarmi sulla partecipazione dei cittadini che vivono su un determinato territorio alle scelte di carattere politico ed amministrativo che si compiono nell’adozione di atti di pianificazione che attengono alla materia ambientale.

In particolare, vorrei porre all’attenzione dei lettori la vicenda normativa che ha interessato i cittadini del Comune di Pachino, attraverso l’istituzione d’autorità -da parte dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente-  della Riserva Naturale Orientata dei Pantani della Sicilia Sud Orientale.

Il Regolamento apposto alla gestione della Riserva coinvolgeva anche l’area territoriale su cui ricadeva ed ancor oggi ricade la produzione dell’I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta) del “pomodoro di Pachino”.

L’imposizione del vincolo comportava conseguenze gravissime per i produttori agricoli, incidendo negativamente il decreto regionale sia sullo sviluppo delle aziende sia sul loro stesso mantenimento in vita, con i prevedibilissimi rischi di perdita di miglia di posti di lavoro e di gravissimo abbassamento dei valori economici dei fondi agricoli, con gli effetti di incapacità di accessione ai finanziamenti da parte del sistema bancario.

L’associazionismo agricolo, tradotto nella costituzione di un Consorzio di circa 200 aziende di piccole e medie dimensioni  che si occupano della produzione del Pomodoro IGP Pachino con un numero di circa cinquemila lavoratori addetti, ha posto dinanzi alla pretesa impositiva regionale la violazione di principi di derivazione comunitaria, oltre che costituzionale e legislativa.

Ed ha fatto ciò mediante la presentazione di ricorso dinanzi al TAR Sicilia, Catania, con la proposizione di specifica  questione di legittimità costituzionale della Legge Regionale n. 98 del 1981.

            Il TAR etneo, facendo propria la motivazione di lesione costituzionale proposta dal Consorzio, ha sollevato questione dinanzi alla Corte Costituzionale che –accogliendo il rilievo di incostituzionalità della L.r.  69/81- con la decisione del 18 luglio 2014 n. 212 ha riconosciuto l’avvenuta violazione del diritto della comunità locale di Pachino di partecipare attivamente al procedimento di istituzione della riserva.

Il principio posto dalla Corte può essere così riassunto: è “del tutto evidente il primario risalto che assumono le voci dei “protagonisti” socio-economici di una determinata zona, specie attraverso i relativi enti esponenziali, ai fini della realizzazione di un progetto di “perimetrazione” funzionale che, ineluttabilmente, finisce per coinvolgere interessi locali, di varia e non di rado antagonistica natura”.

Di conseguenza, ha statuito l’importante principio a termini del quale: la “gestione del territorio spetta alla comunità che vive sul territorio e, quindi, l’ente locale, che è l’espressione massima della comunità, non può essere scavalcato nelle scelte di programmazione che riguardano quel territorio” .

Le disposizioni normative regionali, omettendo di assicurare ai Comuni la possibilità di rappresentare  sul piano procedimentale i molteplici interessi delle relative comunità, sono state dichiarate in contrasto anche con i parametri dettati dalla legge Quadro nazionale e, come tali,  dichiarate costituzionalmente illegittime, in quanto privative del diritto di partecipazione delle comunità locali a tutta l’attività propedeutica alla individuazione dell’area da sottoporre a vincolo ambientale e al contemperamento dei diversi interessi in gioco.

La fattispecie giuridica così descritta e con correttezza e precisione portata avanti dall’avv. Giuseppe Gambuzza attraverso l’evidenziazione del contrasto-conflitto tra norma regionale e norme costituzionali e comunitarie ed accolta dal Giudice Costituzionale è realmente e sostanzialmente un segnale positivo rispetto ad una mutata relazione tra autorità pubblica politica e soggetti civili o sociali che vivono in un determinato territorio o ambiente.

Il  rispetto della vocazione naturale e della specifica destinazione del territorio, da secoli usato e con rispetto dalle popolazioni locali, non può essere oggetto di mutazioni imposte dalla legge e derivanti da astratte –ancorché valide- ambizioni di incidenza di poteri politici e legislativi di più elevata e più lontana sede nella governance del territorio.

L’esercizio legittimo del potere o, se vogliamo, della potestà legislativa ha oggi la necessità di una mutata modalità di svolgimento.

 Il potere legislativo di modello impositivo cede sempre più, sia per l’evolversi di fatto di una coscienza individuale e collettiva di una cultura partecipativa sia per un diritto sempre più attento agli interessi ed ai diritti concernenti il governo della cosa pubblica, il suo spazio ad un potere pubblico che deve sempre più essere partecipativo e condiviso.

Il diritto di partecipazione trova così, per la chiara interpretazione della Corte Costituzionale, una sua estensione ed applicabilità anche alle procedure di formazione, redazione ed approvazione di leggi e regolamenti e, specificamente, in ordine  a procedure normativa coinvolgenti l’ambiente.

Una vicenda siciliana che offre lo spazio ad una più vasta logica ed applicazione del principio di partecipazione attiva del cittadino o dei cittadini in un ambito sia nazionale che di rilevanza  europea.

 

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it