UN FRITTO OGNI TANTO NON FA MALE. MA SOLO SE FRITTO BENE!

Se pensate che una frittura di pesce o un mix di verdure e ortaggi pastellati siano “dannosi” per l’organismo, pensate male. Mangiare un buon fritto ogni tanto non fa ingrassare, e soprattutto non “nuoce gravemente alla salute”.

Gli alimenti fritti, infatti, sono più digeribili rispetto a molte altre modalità di cottura, perché tale procedimento disidrata i nutrienti, rendendoli maggiormente aggredibili da parte dei succhi digestivi. I cibi fritti, inoltre, abbassano il carico glicemico (risultante dei singoli indici glicemici di ciascun cibo) del pasto, e possono essere utilizzati con criterio anche in presenza di diabete, sindrome metabolica e malattie cardiovascolari, poiché migliorano la risposta insulinica e l’insulino-resistenza. Dal punto di vista digestivo, consumare un alimento fritto stimola notevolmente il fegato a far contrarre e decongestionare la cistifellea, che in questo modo rilascia i sali biliari, indispensabili per la digestione, con grande efficacia. L’unica condizione in cui è sconsigliata l’assunzione di cibi fritti è la patologia epato-colecistica, nella quale il fegato non è in grado di rispondere correttamente allo stimolo, e ciò determina il riassorbimento di tossine e nutrienti.

Uno dei principali rischi associati al consumo di cibi fritti è dato dalla formazione di acrilamide, di cui è stato dimostrato l’effetto cancerogeno in animali da laboratorio; questa molecola viene prodotta nelle fritture prolungate e a temperature eccessive, nelle quali ha luogo una protratta reazione di Maillard, durante la quale zuccheri e aminoacidi si trasformano in molecole più complesse. Questa serie di reazioni (che avviene anche nella cottura in forno e nella tostatura), dipende da diversi fattori (substrati di partenza, temperatura, % di acqua libera, durata), e dà origine a diversi composti potenzialmente tossici, come le amine eterocicliche. Gli alimenti maggiormente coinvolti sono quelli più ricchi di carboidrati: patatine fritte, prodotti da forno, cereali da colazione, etc. In caso di frittura casalinga, bisogna fare molta attenzione al principale indicatore di questa reazione: l’imbrunimento dell’alimento. È sempre meglio, comunque, friggere a casa piuttosto che consumare prodotti sottoposti a frittura industriale: esistono, infatti, non poche prove delle notevoli quantità di acrilamide contenuta in questi prodotti.

Vediamo, quindi, come far sì che la frittura venga svolta nel modo più corretto.

Il primo aspetto fondamentale riguarda la scelta dell’olio in cui friggere l’alimento. La frittura, per essere sana, deve essere fatta esclusivamente in olio extravergine d’oliva o strutto. L’impiego di altri oli o grassi, siano essi vegetali o addizionati (per mantenere croccante il prodotto finale), provoca invece una trasformazione dei lipidi, senza contare che le sostanze chimiche aggiunte agli oli vegetali (indispensabili in quanto tali oli non sono estratti a freddo) forniscono un carico di sostanze tossiche per la funzione epatica e renale.

Ogni grasso (liquido o semisolido), inoltre, possiede uno specifico “livello di tolleranza alle alte temperature”, definito punto di fumo: oltre questo livello termico, i trigliceridi (grassi) si scindono nei loro componenti fondamentali, glicerolo e acidi grassi. Il glicerolo si disidrata, formando l’acroleina, sostanza volatile di odore pungente, irritante nei confronti della mucosa gastrica e molto tossica per il fegato. Il rispetto del punto di fumo, quindi, è fondamentale per prevenire la formazione di questa molecola, che si accumula soprattutto negli oli stra-utilizzati e spesso già esauriti (come accade per i cibi fritti serviti nella ristorazione collettiva), e la cui produzione è maggiore negli oli vegetali a prevalenza di acidi grassi polinsaturi (soia, lino, canapa, vinaccioli, noce, etc.).

L’olio extravergine d’oliva, indovinate un po’, è quello con il punto di fumo più elevato (210 °C), maggiore rispetto ad altri oli vegetali (olio di girasole <130 °C, olio di soia 130 °C, olio di mais 160 °C, olio di cocco 170 °C, olio di arachide 180 °C). L’olio di palma raffinato, invece, ha un punto di fumo pari a 240 °C, ma ciò non significa che sia un buon sostituto, anzi! Il punto di fumo, inoltre, può diminuire notevolmente se l’olio non è conservato in maniera opportuna (al riparo da luce e calore), e se è già stato usato in precedenti fritture.

Bisogna, perciò, fare molta attenzione che l’olio della frittura abbia una temperatura alta ma stabile, intorno ai 160/170 gradi (generalmente, i pezzi di maggiori dimensioni devono essere cotti a una temperatura di circa 160-170 °C, mentre quelli più piccoli a circa 175-180 °C).  L’ideale è aiutarsi con un termometro da cucina, mettendo il cibo a friggere solo quando l’olio abbia raggiunto la temperatura richiesta, e mantenendola il più possibile costante. Se troppo alta, infatti, potrebbe provocare una tostatura della superficie talmente forte da scurirla prima ancora che l’interno sia cotto. Se, invece, troppo bassa, l’umidità interna degli alimenti non riuscirebbe a fuoriuscire sotto forma di vapore (e cioè “facendo le bolle”). In assenza del termostato, si considera ideale la temperatura che comporta lo sviluppo di bollicine e produce un leggero sfrigolio quando viene immerso un pezzetto di alimento nell’olio.

L’olio, in generale, non deve mai fumare, altrimenti significa che ha iniziato a produrre sostanze tossiche. Sarebbe sempre meglio non riutilizzare l’olio per fritture successive, ma applicando qualche accorgimento è possibile usare l’olio e.v.o. al massimo un altro paio di volte (e mai per la preparazione di alimenti di diverso tipo): al termine della frittura, quest’olio va subito tolto dal fuoco, vi si aggiunge un quinto di olio fresco – dello stesso tipo – per abbassare rapidamente la temperatura e, dopo averlo lasciato raffreddare, lo si filtra accuratamente. Questo vale, però, esclusivamente per l’olio extravergine d’oliva!

Altro aspetto: quanto olio e quanto cibo? Gli alimenti da friggere devono essere ricoperti d’olio; in altri termini, la quantità di olio dev’essere circa 10 volte superiore al peso del cibo. Friggere in poco olio, invece, è quasi sempre sbagliato, in quanto determina un maggior assorbimento dei grassi, e fornisce un fritto unto e dal colore poco uniforme. Inoltre, per evitare che il cibo si attacchi o abbassi troppo la temperatura dell’olio di frittura, la sua quantità non deve mai essere eccessiva.

Il cibo va adeguatamente preparato, e ci sono varie tecniche e modalità: lo si può friggere intero o a pezzetti, infarinato, impanato, irrobustito con la pastella (a eccezione degli impasti, delle patate e delle uova); in tutti i casi, è importante che sia a temperatura ambiente e ben asciutto. Non bisogna, inoltre, mettere il sale e le spezie prima della cottura, panature comprese, perché portano in superficie l’acqua contenuta negli alimenti, favorendo così il distacco della crosticina durante la frittura. A preparazione ultimata, è bene consumare subito gli alimenti fritti, dopo averli salati e lasciati asciugare per qualche minuto su carta assorbente; in ogni caso, non vanno mai coperti, per evitare che l’umidità ne comprometta la croccantezza.

Per chi non amasse la frittura in olio d’oliva, l’unico sostituto accettabile è quello d’arachide, in quanto ha una composizione, e quindi un punto di fumo, molto simile, e un sapore che non prevale sul cibo che si frigge. Questi due oli, infatti, hanno un alto contenuto di acidi grassi monoinsaturi, che resistono meglio al calore, mentre altri oli ricchi di acidi grassi polinsaturi (girasole, mais, pesce), si degradano molto facilmente, originando le già citate sostanze dannose. Se, invece, il problema fosse il prezzo, si può optare per un olio d’oliva non extravergine, meno costoso ma senz’altro valido per la frittura. Occorre citare anche lo strutto, estremamente adatto alla frittura dal punto di vista tecnico per la sua resistenza nel tempo alle elevate temperature, e caratterizzato da un’impronta aromatica particolare.

La padella più adatta alla frittura è quella di ferro, larga, bassa e con i bordi dritti, perché permette un riscaldamento dell’olio più graduale. Una buona alternativa è la padella di acciaio. C’è da dire, però, che la friggitrice resta senza dubbio lo strumento più appropriato, grazie alla preziosa funzione svolta dal termostato, che mantiene costante la temperatura programmata.

Un ultimo accorgimento, indispensabile quando si assume una pietanza fritta, è quello di associarla a un vegetale ricco d’acqua, come l’insalata, e a un frutto, in primis per supportare il lavoro del fegato, ma anche perché le fibre riducono l’assorbimento dei grassi, e i vegetali forniscono preziosi antiossidanti. Infine, ricordate che un buon fritto dev’essere dorato e croccante, non molle (più calorico e indigesto) e non bruciacchiato. Mai assumere le parti arrostite o carbonizzate, che sono una miniera di sostanze tossiche e irritanti, come le citate acrilamide e acroleina.

 

 

 

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