SAN GIORGIO E LA CONA DEL GAGINI

Location perfetta, per la lezione del Prof. Arch. Giuseppe Ingaglio, organizzato dalla Soprintendente BB. CC. AA., Rosalba Panvini, nel capolavoro architettonico del Duomo di San Giorgio, opera dell’architetto del Val di Noto, Rosario Gagliardi. La Soprintendente ringrazia soprattutto l’ospitalità di Padre Pietro Floridia, parroco del Duomo, l’Ordine degli Architetti di Ragusa e il FAI, che hanno permesso la fruibilità di questo monumento per una lezione facente parte di un ciclo di sei lezioni. Il Prof. Ingaglio, docente di storia dell’arte, spiegherà agli alunni delle scuole di Ragusa, Modica, Scicli e agli architetti presenti, il perché è stata voluta la Cona o ancona o icona monumentale, cosa rappresenta per i fedeli, specie per devoti di San Giorgio, e parlerà del progettista di questa scultura, Antonino Gagini, e delle differenze tra le varie maestranze che si sono succedute a lui nel completamento della stessa. Attualmente la Cona si trova custodita all’interno della sacrestia del Duomo, e rappresenta ciò che rimane dell’opera intera, che doveva essere molto più grande, e fu distrutta in parte dal terremoto del 1693. Per comprendere meglio l’evoluzione della scultura, dice il Prof. Ingaglio, bisogna fare un passo indietro al 1308-1310, date in cui la prima Chiesa di San Giorgio, citata attraverso le tasse che la curia doveva alla Santa Sede. Attraverso gli studi della storica dell’arte Laura Ragusa, la chiesa citata non è quella pre-terremoto, ma si trattava della chiesa che la famiglia dei Chiaramonte vollero edificare a Ibla, nella zona di espansione trecentesca della capitale della Contea di Modica, inserendola in una sorta di piano urbanistico, che la prevedeva dunque vicino il loro palazzo. Ma nel 1382 il feudo passò alla Famiglia Cabrera, che ne proseguirono i lavori della Chiesa che diventò il pantheon di famiglia e anche loro tomba. Successivamente, nel declino causato dal Concilio di Trento e dalla riforma cattolica, i Cabrera spostarono la capitale dei loro stati a Modica e da ricerche del periodo si evince che la chiesa di San Giorgio doveva essere piuttosto modesta, (quattro altari, pochi suppellettili, una sola pisside). Nel sedicesimo secolo, quando in Sicilia prosperano i commerci, soprattutto quelli della canna da zucchero e della seta, il flusso di denaro approda anche a Ragusa, e quindi si decide di edificare un nuovo monumento verso la fine del 1500 dedicato al Santo cavaliere.  In questo fluire di denaro, quindi, l’aristocrazia del luogo, decide anche di fare realizzare una Cona veteris, che dovesse sostituire il classico quadro, con un “quadro di pietra”; per cui nel 1573, venne affidato questo compito ad Antonino Gagini (il tutto testimoniato da una ricevuta a lui intestata). Antonino Gagini, fu figlio secondogenito di Antonello, figlio a sua volta di Domenico, del Canton Ticino, il quale aveva lavorato con Michelangelo. Antonino, possedeva a Palermo due botteghe, con numerosi collaboratori e molti figli che ne imparano l’arte; concentrò le sue opere tra Alcamo, Marsala, Trapani, e soprattutto nei Nebrodi (luogo di approdo del marmo di Carrara). Ma nella chiesa di San Giorgio utilizzerà la pietra locale, a testimonianza del fatto che la committenza avrà richiesto uno sconto, così come l’alternanza di manovalanze che ne completeranno l’opera. Quando dopo una trentina d’anni, nel 1616 l’opera ancora non era stata portata al termine, l’incarico di completamento venne affidato a Filippo Bendio, il quale chiamerà ad aiutarlo Iacomo Brandi per dipingere, Alberto Fiesco da Messina, tutte maestranze forestiere, che rispetto a quelle locali utilizzarono un linguaggio innovativo rispetto a quello del luogo, che prediligeva ancora nel ‘500 lo stile tardo-gotico. Da ciò che rimane della Cona, tre nicchie organizzate secondo una gerarchia, in cui quella centrale, contiene il Santo più importante, San Giorgio, a cui è dedicata la Chiesa, e due nicchie laterali, in cui sono scolpiti sempre santi cavalieri, si può capire a quale mano apparitene la scultura stessa, e ogni singolo pezzo. La madonna posta sopra la nicchia centrale, sicuramente non faceva parte dell’opera originaria. Il Prof. Ingaglio in una sequenza di foto raffiguranti i particolari dei medaglioni erratici, attualmente custoditi nel museo del Duomo, fa notare la differenza tra quelli realizzati da Gagini (per esempio dove sono raffigurati i santi profeti, il maestro crea un equilibrio interno, una finezza di intagli che comunque non sovrasteranno mai la figura di San Giorgio, che in questo caso è appunto il soggetto principale). Invece, ad esempio nei medaglioni in cui sono raffigurati Adamo ed Eva, si nota una mano diversa, ma dai tratti in movimento dei capelli di Adamo, si capisce che si tratta dei collaboratori di Gagini, quindi Gaginiani, ispirati dal loro maestro. I Gagineschi furono sicuramente quelli che scolpirono il medaglione in cui è effigiato Davide, (solitamente raffigurato con in mano un’arpa, probabilmente sconosciuta allo scultore locale), che lo rappresenta qui, con uno strumento piuttosto rozzo, rendendo l’immagine rigida. Dagli spigoli della Cona, si nota una maggiore ricchezza di contenuti sinonimo che sicuramente si tratta della mano dei Gaginiani, che conoscono bene la lavorazione del marmo del maestro. Anche nelle due statue laterali, che rappresentano sempre due santi cavalieri che sconfiggono draghi o altre mostruosità, S. Ippolito a sinistra e S. Mercurio a destra, si nota l’attenzione e la cura dei particolari, tipica del Gagini. Nella nicchia centrale invece, viene realizzato un San Giorgio, che a differenza del San Giorgio realizzato dal padre per la Chiesa di S. Francesco a Palermo, è una figura in movimento su un cavallo che sconfigge il drago, ma che è stato bloccato nella sua dinamicità. In tutto il ‘500, e ‘600, vi è un’adorazione per San Giorgio, che è ritratto con passione, anche per il diffondersi del dolce stilnovo e dell’abbondanza di metafore e simboli. Per capire meglio questa scultura, dice il Prof. Ingaglio, bisogna conoscere la figura del Santo: sono quattro i protagonisti principali nella sua storia, il cavaliere, il cavallo, il drago e la principessa. San Giorgio rappresenta l’uomo, la virtù, la forza, che sa dominare le passioni. Il cavallo, che nel medioevo non era pensato come un essere docile, ma come una bestia da domare, viene dominato dal santo cavaliere, che facendosi amico la “bestia”, il cavallo, sconfigge il drago, simbolo del maligno, che aveva imprigionato la verità e la purezza della principessa, rendendola finalmente libera. Quindi questa “legenda” su San Giorgio, secondo il Prof., segna la diffusione del culto del Santo, perché tutti i signorotti volevano identificarsi in lui. Nel 1693 il terremoto devastò tutta la Sicilia orientale, radendo al suolo anche questa Chiesa di San Giorgio, e furono pochi gli elementi a resistere alla furia di questa calamità, (il portale, parte della cappella della Natività, parte della Cona).

Aver potuto ammirare da vicino un’opera d’arte, che, essendo collocata fuori dal Duomo, per molti era sconosciuta, è stata una meravigliosa esperienza, perché attraverso lo studio dei monumenti del passato è possibile ricostruire la storia dei nostri padri. La lezione si conclude con la visita, nella sacrestia del Duomo, dell’opera scultorea cinquecentesca, che con le sue molteplici vicissitudini, è stata da poco restaurata, ma sicuramente necessiterebbe di un’ordinaria manutenzione.

 

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