Intervista al prof. Miccichè in uscita con la sua nuova fatica letteraria: “L’emancipazione della donna in Sicilia”

Per i tipi della Tipografia Barone e Bella di Ragusa è uscita “L’emancipazione della donna in Sicilia”, nuova opera del prof. Giuseppe Miccichè promossa dal Centro Studi F. Rossitto. Dopo averla letta con avidità e godimento, sia per la novità del lavoro nella storiografia isolana, sia per la chiarezza della scrittura, ho rivolto al prof. Miccichè, nostro vecchio e caro amico, alcune domande.

Domanda– Professore, in passato lei ha ricostruito e  studiato le vicende politiche, sociali e culturali della nostra isola e dei comuni iblei dall’800 ai nostri giorni.  Come è arrivato a indirizzarsi verso questo  nuovo tema?
Risposta–  Come lei ha ben detto, in passato i miei interessi si sono rivolti alla presenza e incidenza del fascismo nella società isolana, ai movimenti socialista, comunista, cattolico, e al movimento sindacale, e inoltre ad alcune figure di particolare rilievo (Francesco Lo Sardo, Giovanni Cartia, Eduardo Di Giovanni, Virgilio Failla…), alla pubblicistica e all’attività tipografica nell’area degli Iblei. Era tempo che mi occupassi della donna, delle sue capacità e del suo cammino verso l’ emancipazione.

D– Nel libro lei rileva la lentezza del risveglio femminile e delle prime lotte di emancipazione. E’ possibile individuare il momento iniziale del cammino compiuto dalle donne?
R– Nell’elemento femminile la presa di coscienza dei propri diritti nella famiglia e nella società è avvenuta con molta lentezza, venendo condizionata dalla civiltà contadina, fortemente radicata nella nostra terra e nella nostra società. Dobbiamo pensare al tempo in cui l’uomo era il padrone e la donna era priva di ogni diritto. Certo non si deve generalizzare, ma quel tempo c’è stato. Poi si compirono i primi passi, grazie anche all’ascolto del messaggio socialista di giustizia e di libertà, e la donna a volte si  unì  agli uomini – vedi l’esperienza dei Fasci dei lavoratori nel 1893 e di Giarratana nel 1902- nella lotta per migliori condizioni  di vita.

D– Come si presentava la situazione nel primo dopoguerra?
R– Nel primo dopoguerra il risveglio delle coscienze crebbe, anche grazie alla propaganda di donne coraggiose come la mitica Maria Giudice, venuta dal Nord, e altre ancora meno conosciute ma discretamente attive anche se in realtà limitate. Le squadracce nazional- fasciste fermarono per lunghi anni il risveglio e l’immissione cosciente delle donne nel sociale. Ci furono, è vero, le adunate nelle piazze, la mobilitazione delle giovani donne, delle vedove di guerra, delle massaie, che caratterizzarono il “ventennio nero”. Le donne venivano strumentalizzate secondo le finalità particolari del fascismo. Il fatto ebbe tuttavia la sua importanza: la mobilitazione servì ad abituare le donne a uscire di casa, a vivere in società, a muoversi.

D -Lei presenta il secondo dopoguerra come il periodo in cui si realizza un reale avanzamento della donna.
R – A partire dal ’44 le donne si mobilitano, partecipano in numero crescente alle lotte di rinnovamento accanto agli uomini, poi costituiscono proprie organizzazioni, l’UDI, il CIF, il Soroptimist, la fidapa, i circoli femminili di partito, strumenti di aggregazione, di approfondimento e di lotta, e si impegnano con una coscienza sempre maggiore delle proprie capacità e dei propri diritti, sempre più decise a difendere le conquiste via via raggiunte. In questo periodo diverse donne sono state in primo piano: ricordiamo a livello regionale Maria Pecoraro, Eugenia Bono, Gina Mare, e nella nostra provincia Maria Occhipinti, Carmela Trovato, Elvira Cottone, Giulia Camera, Rina Lugli, Maria Moscato, Lucia Scalone, Laura Barone, Giuseppina Pavone, Carmela Giommarresi, Delizia Montalto, per ricordare le più note. Il cammino è stato accidentato: ai successi sono spesso seguite le sconfitte, ma poi è venuta la ripresa.

D –  Lei ricorda l’interruzione dell’avanzata della donna  a partire dagli anni 90 e la difficoltà  a  riprendere il cammino.
R– Si, sono sopravvenuti anni di crisi, errori anche, compiuti da settori femminili che vogliono andare troppo oltre e finiscono per annullare il ben fatto. Sono anni nei quali la crisi investe l’economia con gravi riflessi nel mondo del lavoro, dove si riduce l’utilizzazione della donna e l’uomo è portato  a  garantirsi nel proprio spazio.

D – Come si presenta oggi la situazione? E lei che ne pensa?
R– Le vecchie forme di lotta non ci sono più, frange di giovanissime si sono piegate a divenire “oggetto”. Oggi c’è chi parla di fine del movimento di emancipazione, di riflusso e chi, invece, di necessaria ripresa, di nuova fase. Come affermo nella chiusura del libro, io sono con chi  ritiene che “le conquiste fatte dalle vecchie generazioni ed ereditate dalle nuove, sicuramente rilevanti, non si devono considerare scontate, e si deve lottare insieme, uomini e donne, per la loro conferma e un più generale godimento, sia pure con le modalità e gli obiettivi richiesti da una società in continua evoluzione”.

A cura di Franco Portelli

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