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La monaca di Monza di Alessandro Manzoni aveva parenti a Modica. Una storia intrigante e fascinosa: di Uccio Barone
13 Ago 2019 10:43
La monaca di Monza immortalata nei “Promessi Sposi” contava solide radici di parentela a Modica. Lo ha scoperto il compianto prof. Giuseppe Raniolo in due articoli pubblicati nel 1998-99, ma rimasti semisconosciuti fino ad oggi. Ho avuto modo di rileggere quei preziosi contributi e ho potuto consultare la relativa documentazione conservata nella locale sezione dell’ Archivio di Stato di Ragusa. La storia è intrigante e fascinosa, apre inediti scenari culturali e merita di essere riscoperta.
Suor Gertrude, al secolo Marianna De Leyva, non era il frutto della fantasia letteraria di Alessandro Manzoni, ma discendeva da una famiglia nobile della Navarra, dove il villaggio di Leyva conserva ancora il medievale castello del casato. Agli inizi del ‘500 il suo bisnonno Antonio De Leyva si era ricoperto di gloria nell’ armata di Carlo V combattendo i francesi nell’ assedio di Milano e nella battaglia di Pavia (1525 ) dove era riuscito a catturare il sovrano nemico Francesco I. Citato nelle Lettere di Pietro l’ Aretino e ricordato per le sue eroiche gesta da Francesco Guicciardini, il “capitano” Antonio aveva poi seguito l’ imperatore nella conquista di Tunisi ( 1535 ) finché Carlo V non lo aveva nominato conte di Monza e principe di Ascoli. Nei possedimenti lombardi gli erano successi per discendenza diretta prima il figlio Luigi ( governatore di Milano ) e poi il nipote Martino, che sposandosi con la ricca vedova Virginia Marino si era stabilito nel palazzo avito della moglie ( oggi sede del Comune di Milano ) con cui aveva procreato nel 1575 Marianna e in seconde nozze Luigi che ereditò il titolo.
Negli stessi anni i De Leyva erano presenti anche nella Contea di Modica, e Calcerano si era fatto onore a fianco del cugino ( o fratello ? ) Antonio nell’impresa tunisina ricevendo da Carlo V il titolo di “regio milite” nel 1550. A quella data Calcerano era ormai un affermato esponente del patriziato cittadino: nel 1541 aveva partecipato all’ assemblea di maggiorenti convocata a Modica dal governatore Bernardo Del Nero per approvare gli “Statuta, Capitula et Ordinationes” della Contea e l’ anno dopo un antico verbale ne testimonia la presenza nel “Consilium” cittadino come rappresentante del quartiere Casale. Il suo primogenito Andrea era riuscito ad impalmare Giovanna Leofante dei baroni del Casale che dominavano l’ omonimo quartiere ( oggi il Corso Umberto da piazza Municipio a piazza Rizzone ). I De Leyva-Leofante si estesero per rami collaterali, per tre secoli diventarono uno dei più potenti casati ( insieme agli Ascenzo, Grimaldi, Lorefice, Polara e Manenti ) della città.
Figlio di Matteo (deputato alla Sanità durante la peste del 1576 ) , frate Alberto De Leyva aveva fatto una folgorante carriera ecclesiastica nell’Ordine carmelitano e dopo essersi laureato in Teologia e Filosofia nell’Università di Catania era diventato priore del Convento di S. Maria dell’ Annunziata a Modica con annesso Studium dove impartiva il servizio religioso e l’ insegnamento. Colto predicatore e raffinato biblista, egli venne nominato nel 1628 Visitatore generale dei 52 Conventi della Provincia di S. Alberto in Sicilia. Il dotto carmelitano pensò però di salire più in alto nella gerarchia ecclesiastica e nel 1633 preparò un dettagliato curriculum da presentare al vicere duca d’ Alcala’ per l’ eventuale nomina a vescovo. In base all’ Apostolica Legazia questa carica religiosa era attribuita alla massima autorità politica del Regno, e per un’ efficace “raccomandazione frate Alberto si rivolse al congiunto don Luigi De Leyva, figlio di Martino e fratellastro di Marianna .
Benche’ conte di Monza, don Luigi II aveva preferito trasferirsi a Palermo godendo di un seggio al Parlamento come feudatario della baronia di Tripi , che faceva parte del patrimonio siciliano della famiglia Marino, a conferma dei tradizionali legami economici e politici tra la Lombardia e la Sicilia. La stessa Contea monzese nel 1651 sarebbe stata venduta ai banchieri milanesi Durini. Si spiega perciò il carteggio tra i due cugini De Leyva che si riconoscono come parenti e ricordano la comune e nobile prosapia lombarda ormai “sicilianizzata”. Don Luigi , che voleva cancellare la triste vicenda della sorellastra “murata” nel monastero di S. Valeria attiguo alla chiesa di S. Ambrogio ( dove morì nel 1650 ) , non esitava ad incoraggiare Alberto e gli prometteva di presentarlo al vicere che -a suo dire- avrebbe tenuto conto dei “secolari servigi” di casa Leyva alla monarchia spagnola. “Padre mio-gli scriveva il 25 gennaio 1635- non perdete tempo a correre a Palermo, perché questo vicere è un santo, che non tratta altri che con religiosi di bona vita e letterati. Io farò subito parlare con Sua Eccellenza et intrinsecare con esso”. Frate Alberto però non si recò nella Capitale e non ne conosciamo i motivi, cosicché la nomina a vescovo sfumo’ insieme alle vistose rendite connesse alla carica. Resta la storia , e una “grande” storia, che restituisce ai De Leyva e all’ aristocrazia dell’ area iblea un’ inedita e prestigiosa caratura internazionale.
Prof. Uccio barone
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