L’ASP di Ragusa ha assegnato per 134.000 euro i lavori di manutenzione straordinaria della pavimentazione del piazzale antistante l’ospedale “Riccardo Guzzardi” di Vittoria, con un ribasso d’asta del 31%. L’intervento, che sarà eseguito da una ditta locale dopo la stipula del contratto, prevede il rifacimento della pavimentazione, la creazione di ingressi carrabili regolati da barriere […]
Corruzione nella sanità siciliana, 10 arresti
21 Mag 2020 09:04
Corruzione e appalti pilotati nella sanità siciliana. La guardia di finanza di Palermo, su delega della Procura, ha eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di 12 persone, a vario titolo indagate per corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, istigazione alla corruzione, rivelazione di segreto di ufficio e turbata libertà degli incanti.
Nell’operazione “Sorella Sanità” in carcere sono finiti Fabio Damiani, 55 anni, direttore generale dell’Asp 9 di Trapani, e Salvatore Manganaro, 44 anni, definito dagli inquirenti il “faccendiere di riferimento” di Damiani. In 8 ai domiciliari: Antonino Candela, 55 anni, attuale coordinatore della struttura regionale per l’emergenza Covid-19, già Commissario straordinario e direttore generale dell’Asp 6 di Palermo; Giuseppe Taibbi, 47 anni, “faccendiere di riferimento” di Candela; Francesco Zanzi, 56 anni, amministratore delegato della Tecnologie Sanitarie S.p.a.; Roberto Satta, 50 anni, responsabile operativo della Tecnologie Sanitarie; Angelo Montisanti, 51 anni, responsabile operativo per la Sicilia di SIRAM S.p.a. e amministratore delegato di SEI Energia s.c.a.r.l.).
Ai domiciliari anche Crescenzo De Stasio, 49 anni, direttore unità business centro sud di SIRAM S.p.a.), Ivan Turola, 40 anni, definito dagli investigatori “referente occulto di FER.CO. s.r.l.”, e Salvatore Navarra, 47 anni, presidente del Consiglio di amministrazione di PFE S.p.a.). Nei confronti di Giovanni Tranquillo, 61 anni, per gli inquirenti “referente occulto” di EURO&PROMOS S.p.a. e di PFE S.p.a, e di Giuseppe Di Martino, 63 anni, ingegnere e membro di commissione di gara è stata invece applicata la misura del divieto temporaneo di esercitare attività professionali, imprenditoriale e pubblici uffici.
Il Gip ha inoltre disposto il sequestro di 7 società, con sede in Sicilia e Lombardia, nonché di disponibilità finanziarie per 160.000 euro, ritenuto l’ammontare allo stato accertato delle tangenti già versate. “Le tangenti promesse ai pubblici ufficiali – sottolineano le fiamme gialle – raggiungono, però, una cifra pari ad almeno 1,8 milioni di euro”.
Le indagini, svolte con l’ausilio di intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti, pedinamenti, videoriprese, esami documentali e dei flussi finanziari, hanno consentito di ipotizzare “l’esistenza di un centro di potere composto da faccendieri, imprenditori e pubblici ufficiali infedeli che avrebbero asservito la funzione pubblica agli interessi privati, in modo da consentire di lucrare indebiti e cospicui vantaggi economici nel settore della sanità pubblica. Le fasi del sistema corruttivo, evidenziano gli investigatori, ruotavano intorno alle gare indette dalla Centrale Unica di Committenza della Regione siciliana e dall’ASP 6 di Palermo, disvelando “le trame sottese all’accaparramento di appalti milionari del settore sanitario siciliano”.
Nello specifico, scrivono le fiamme gialle, sono state analizzate 4 procedure ad evidenza pubblica interessate da condotte di turbativa, aggiudicate a partire dal 2016, il cui valore complessivo sfiora i 600 milioni di euro.
Nello specifico, si trattava di: gestione e manutenzione apparecchiature elettromedicali – bandita dall’ ASP 6 del valore di 17.635.000 euro; servizi integrati manutenzione apparecchiature elettromedicali – bandita dalla CUC del valore di 202.400.000 euro; fornitura vettori energetici, conduzione e manutenzione impianti tecnologici – bandita dal ASP 6 del valore di 126.490.000 euro; servizi di pulizia per gli enti del servizio sanitario regionale – bandita dalla CUC del
valore di 227.686.423 euro.
“Le spregiudicate condotte illecite – sottolinea la Guardia di finanza – garantivano l’arricchimento personale dei pubblici ufficiali infedeli e dei loro intermediari, mediante l’applicazione di un tariffario che si aggirava intorno al 5% del valore della commessa aggiudicata. Gli operatori economici vincitori delle gare, importanti società di livello nazionale, erano consapevoli e partecipi delle dinamiche criminali, dalle quali traevano un vantaggio che avrebbe remunerato nel tempo il pagamento delle tangenti”.
Lo schema illecito, come ricostruito dagli specialisti anticorruzione del Gruppo Tutela Spesa Pubblica del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, appariva consolidato: “l’imprenditore interessato all’appalto – si legge ancora -avvicina il faccendiere, noto interfaccia del pubblico ufficiale corrotto; il faccendiere, d’intesa con il pubblico ufficiale, concorda con l’impresa corruttrice le strategie criminali per favorire l’aggiudicazione della gara; la società, ricevute notizie dettagliate e riservate, presenta la propria ‘offerta guidata’, che sarà poi adeguatamente seguita fino all’ottenimento del risultato illecito ricercato. Le condotte scorrette emerse nel corso dello svolgimento delle procedure turbate riguardano: l’attribuzione di punteggi discrezionali, non riflettenti il merito del progetto presentato; la sostituzione delle buste contenenti le offerte economiche; il pagamento di stati avanzamenti lavoro anche in mancanza della documentazione giustificativa necessaria; la diffusione di informazioni riservate, coperte da segreto di ufficio”.
I pagamenti delle tangenti, fa sapere la Gdf, “in alcuni casi avvenivano con la classica consegna di denaro contante nel corso di incontri riservati, ma molto più spesso venivano invece
mimetizzati attraverso complesse operazioni contabili instaurate tra le società aggiudicatarie dell’appalto e una galassia di altre imprese, intestate a prestanomi, ma di fatto riconducibili ai faccendieri di riferimento per i pubblici ufficiali corrotti”.
Inoltre, “per rendere ancora più complessa l’individuazione del sistema criminale approntato”, gli indagati “si erano spinti fino alla creazione di trust fraudolenti, con l’obiettivo di
schermare la reale riconducibilità delle società utilizzate per le finalità illecite. Il patto criminale – concludono gli investigatori – veniva poi ulteriormente cementato grazie alle continue e sistematiche interlocuzioni che erano necessarie per gestire tutte le fasi attuative dei ontratti la cui durata era ovviamente pluriennale”.
(ITALPRESS).
© Riproduzione riservata