LA COMUNICAZIONE POLITICA 3

Qualcuno su Facebook mi ha chiesto di precisare se la comunicazione politica di cui parlo è quella elettorale, pubblica, del politico e così via. Ora, siamo d’accordo che può essere utile specificare gli ambiti del discorso, occorre tuttavia sottolineare che parliamo – almeno in questa sede – di un argomento generale che si ritaglia lo spazio di pertinenza esattamente come lo fanno altri argomenti quali, appunto, la pubblicità e il linguaggio della seduzione.
Uno scambio di battute come quelle fra De Michelis e Cacciari poteva senza dubbio ricevere la sua decodifica più precisa negli anni ’80, su su fino al 1993 – momento epocale della storia repubblicana – e ciò a riprova che il linguaggio è un meccanismo che funziona pienamente nell’interazione fra i parlanti e il contesto (in questo caso storico). Oggi quelle frasi possono far sorridere, sembrare surreali e – alla fine – persino divertire: ma se non si ha una minima nozione del significato “connotativo” che si è progressivamente addensato intorno al termine socialista nell’intervallo di tempo che va dal 1976 al 1993, ci sono seri dubbi che un tale sketch possa essere compiutamente compreso.
Ecco, un’altra faccia della comunicazione politica è questa inevitabile, feroce, potente incrostazione di valori semantici (all’incirca: i “significati”) che prolifera intorno alle parole (e dunque ai concetti).
Quanti seri, appassionati, devoti, coerenti socialisti di quell’epoca possono aver vissuto la tragedia, il lutto di una evitabilissima degenerazione culturale e ideologica che si consumava sotto a questa inevitabile degenerazione linguistica, per cui dire “socialista” implicava automaticamente dire “ladro”.
E oggi? Diciamo, da quel fatidico 1993 ad oggi? Cosa abbiamo?
Gli esempi non mancano, sono anche troppi, ma uno ci preme evidenziare, per la sua particolarissima natura e per l’ancor più particolare fisionomia: è l’esempio della discesa in politica di Silvio Berlusconi.
Esattamente speculare al dissolvimento politico e ancor prima ideologico del partito cui il Cavaliere aveva fino a quel momento fatto riferimento – il Partito Socialista appunto – ecco l’invenzione di un perfetto meccanismo magico mediante il quale, fra alambicchi verbali e pozioni sociologiche, nasce il “valore” di Forza Italia, creatura artificiale costruita a partire da membra morte di organismi precedenti: esattamente come il mostro di Frankenstein nasceva dalla ricucitura di frammenti cadaverici pregressi.
La scelta stessa di intitolare un partito all’invocazione calcistica (e dunque politicamente “trasversale”) della gloria azzurra (il partito all’epoca veniva anche detto degli “azzurri”) è disvelativo della potenza del linguaggio, che – non basterà mai ripeterlo – non riproduce il mondo, lo crea!

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