Raffaele Lombardo assolto da concorso esterno e corruzione elettorale

La Corte d’appello di Catania ha assolto Raffaele Lombardo dall’accusa di concorso esterno “perché il fatto non sussiste” e da quella di corruzione elettorale aggravato dall’avere favorito la mafia “per non avere commesso il fatto”. Lo ha spiegato leggendo il dispositivo la Presidente Rosa Angela Castagnola. La Procura generale di Catania, con i sostituti procuratori generali Sabrina Gambino e Agata Santonocito, aveva chiesto la condanna di Raffaele Lombardo, a sette anni e quattro mesi di reclusione, con il rito abbreviato.

La Corte ha assolto Lombardo dall’accusa di concorso esterno perche’ il fatto non sussiste e da quella di reato elettorale aggravato dall’avere favorito la mafia per non avere commesso il fatto. La Procura, con i Pm Sabrina Gambino e Agata Santonocito, aveva chiesto la condanna di Raffaele Lombardo, a sette anni e quattro mesi di reclusione, per l’accesso al rito abbreviato.

Al centro del processo i presunti contatti di Raffaele Lombardo con esponenti dei clan etnei che l’ex governatore ha sempre negato sostenendo di avere “nuociuto alla mafia come mai nessuno prima di me”, di “non avere incontrato esponenti” delle cosche e di avere “sempre combattuto Cosa nostra”. Per questo i suoi legali, gli avvocati Maria Licata e il professore Vincenzo Maiello, hanno chiesto l’assoluzione del loro assistito “perche’ il fatto non sussiste”. Il procedimento ha anche trattato presunti favori elettorali del clan a Raffaele Lombardo nelle regionali del 2008, in cui fu eletto governatore, e a suo fratello Angelo, per cui si procede separatamente, per le politiche dello stesso anno. La Seconda sezione penale della Cassazione, tre anni fa, ha annullato con rinvio la sentenza emessa il 31 marzo 2017 dalla Corte d’appello di Catania che aveva assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa l’ex governatore e lo aveva condannato a due anni (pena sospesa) per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso, ma senza intimidazione e violenza. Una sentenza, quella di secondo grado, che aveva riformato quella emessa il 19 febbraio 2014, col rito abbreviato, dal Gup Marina Rizza che lo aveva condannato a sei anni e otto mesi per concorso esterno all’associazione mafiosa ritenendolo, tra l’altro, “arbitro” e “moderatore” dei rapporti tra mafia, politica e imprenditoria. Nelle motivazioni la Corte d’appello di Catania, nel riformare la sentenza di primo grado, aveva rilevato che “il summit tra i vertici mafiosi e Raffaele Lombardo nel giugno del 2003 a casa” dell’ex presidente della Regione, uno dei pilastri dell’accusa, “e’ un fatto assolutamente privo di riscontro probatorio”.

Erano stati invece dimostrati, secondo i giudici di secondo grado, “i rapporti tra Lombardo e esponenti della mafia, che avrebbero agito per agevolare la sua elezione, ma dal quale non avrebbero ricevuto alcun favore”. La Corte d’appello gli aveva contestato la corruzione elettorale con l’aggravante di avere favorito la mafia, che non usa violenza ne’ intimidisce, ma compra i voti con soldi, buoni spesa e favori. Una decisione non condivisa dalla Cassazione che “in accoglimento del ricorso della Procura generale di Catania” aveva poi annullato “la sentenza con rinvio ad altra sezione” della Corte d’appello di Catania, davanti alla quale si e’ celebrato il nuovo processo.

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