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ULTIMA TAPPA ATTRAVERSO LA VITICOLTURA LIGURE
26 Nov 2012 15:12
Proprio al confine con la Francia si trova l’ultima DOC ligure: Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua. Questa DOC, che comprende una serie di comuni, tutti in provincia di Imperia, copre un territorio molto diversificato, la cui altimetria parte da poco oltre il livello del mare fino a giungere ai 600 metri.
È questa la DOC dove si trovano i vini rossi più interessanti tra quelli prodotti in Liguria. Si tratta di vini decisamente importanti, la cui struttura ricorda i vini piemontesi. Effettivamente c’è una grande distanza tra il Rossese di Dolceacqua e gli altri vini rossi prodotti in Liguria. Mentre questi ultimi si caratterizzano per la loro immediatezza e raramente si arricchiscono con l’affinamento di sentori gusto-olfattivi, il Rossese possiede un profumo molto intenso e variegato, che con l’invecchiamento, oltre ai sentori fruttati e floreali, sviluppa anche sensazioni speziate ed eteree. È un vino caldo, strutturato e con una buona componente tannica, particolarmente adatto, nella versione Superiore, al lungo affinamento.
Il territorio vitato si concentra su due valli, sebbene il disciplinare includa un territorio più vasto, dove però non si trovano molte vigne. Le due valli, Val Nervia e Val Verbone, scavate dagli omonimi fiumi, si tuffano perpendicolarmente sulla costa.
Ovviamente in un territorio non tanto ampio, bensì tanto diversificato, i risultati non sono omogenei. Le versioni migliori di Rossese di Dolceacqua sono prodotte dai vigneti con maggiori altitudini, mentre quelli siti più a valle producono una versione più immediata, ma non per questo di minore qualità. Semplicemente è un prodotto di minore struttura, meno longevo, meno variegato olfattivamente parlando, ma ugualmente intenso.
Recentemente il disciplinare di produzione ha subito alcune modifiche. La più interessante è stata quella di estrapolare 38 vigneti considerati i migliori della DOC. Il nome di questi cru può essere inserito in etichetta se il vino nasce da quel vigneto. In quanto a numeri, è la Val Verbone, nel suo versante est, ad avere il maggior numero di cru.
Per quanto riguarda il vitigno, il Rossese di Dolceacqua viene prodotto da un minimo del 95% di uva rossese, mentre il restante 5% da altre uve. La ragione per cui in Italia si incontrano spesso disciplinari che richiedono minimo il 95% di una determinata uva invece del 100%, è data da un fenomeno di costume contadino. La vigna, in passato, è sempre stata promiscua, infatti era la norma vinificare insieme uve a bacca rossa e a bacca bianca. Così come vitigni, anche se dello stesso colore, di diversa tipologia.
La percentuale del 5% non può considerarsi migliorativa. Per migliorativa si intende l’aggiunta di un altro vitigno o di una miscela di altri vitigni atta a migliorare la prestazione o del colore o dell’acidità o del tannino o della morbidezza di un determinato vino. Un tipico esempio di vitigno migliorativo è il merlot, che viene aggiunto per migliorare il colore e la morbidezza o come più spesso accade per aumentare la commercializzazione di un determinato vino. Vini che presentano merlot o cabernet vengono identificati dal mercato come vini di pregio, anche quando tale preconcetto è ingiustificato.
In passato i vitigni del meridione, come il nero d’Avola, svolgevano un’azione migliorativa nei confronti di alcuni vini del nord. Il grande estratto di colore e la forte componente alcolica, serviva ad ammorbidire e ad aumentare il grado alcolico di vari vini del nord, che risultavano troppo magri, troppo duri e qualche volta troppo poco colorati.
In ogni caso, per far sì che un vitigno possa modificare le caratteristiche di un’altra uva maggioritaria nella percentuale, la prima deve raggiungere almeno il 15% del taglio. Se aggiunta in minor quantità, difficilmente modificherà le caratteristiche del vitigno principale. Ovviamente si parla di vitigni sani e senza malattie, poiché altrimenti alterano il vino anche in percentuali minime.
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