Una lite e l’omicidio a capodanno: ergastolo per il maggiorenne coinvolto nell’uccisione di Slimane

Avevano aggredito e ucciso Marouene Slimane, cittadino tunisino, di 30 anni. Era accaduto l’1 gennaio 2023 fuori dal locale Dolce vita, nel Vittoriese. Secondo le indagini svolte dai carabinieri della compagnia di Vittoria e del Nucleo investigativo di Ragusa, coordinate dal sostituto procuratore presso la Procura di Ragusa, Silvia Giarrizzo, avevano agito per qualche apprezzamento di troppo a una ragazzina. Ne sarebbe scaturita l’aggressione. 

La vittima aveva cercato di fuggire ma era stata raggiunta e ucciso. Tre i ragazzi coinvolti, tutti di origine rumena; all’epoca dei fatti poco più che adolescenti, un quindicenne, un sedicenne e un altro giovanissimo appena maggiorenne. Oggi, il giovane maggiorenne è stato condannato alla pena dell’ergastolo, in primo grado davanti alla Corte di Assise di Siracusa. Il reato contestato a tutti era l’omicidio volontario in concorso, aggravato dai futili motivi. Il pm Silvia GIarrizzo, al termine della sua requisitoria aveva chiesto alla Corte presieduta dal giudice Tiziana Carrubba la condanna all’ergastolo. Il difensore del ragazzo, l’avvocato Daniel Balteanu, aveva invece concluso, al termine della sua discussione chiedendo la riqualificazione del reato in omicidio preterintenzionale, l’esclusione dell’aggravante dei futili motivi e la rideterminazione della tipologia del concorso, da concorso ‘pieno’ a concorso anomalo. “Nessun commento” dice il difensore dell’imputato, che però preannuncia “il ricorso in Appello”. le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni.

La storia processuale degli altri due minorenni  si è conclusa in Appello. I due, difesi dagli avvocati Marco Comitini e Serena Pierini, hanno concordato una riduzione della pena in Appello, passata dai 16 anni del primo grado di giudizio  (in abbreviato davanti al Gip presso il Tribunale dei minorenni di Catania) a 12 anni un mese e venti giorni. E la condanna è definitiva. Al momento dei primi interrogatori successivi al fermo, il maggiorenne oggi condannato all’ergastolo, aveva confessato di avere preso parte a quella aggressione; nell’automobile che lui aveva utilizzato, i carabinieri avevano trovato due spranghe di ferro e un coltello a serramanico che aveva detto fosse suo. Dopo il delitto era andato al pronto soccorso, per una ferita alla mano. Le richieste a cui era chiamato a rispondere il medico legale allora incaricato dell’autopsia erano indicative dell’efferatezza del delitto: quale il colpo mortale e se la vittima era stata in grado di opporsi, di difendersi, o meno. 

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