IL PAPA E CHI NON CREDE

La vicenda vaticana invade ogni spazio della comunicazione e persino della rappresentazione e del pensiero. Le radici cattoliche della cultura di un paese come il nostro lo rendono inevitabile. Tuttavia credo sia giusto – proprio in questo momento così esaltante per i credenti – dare voce anche a chi credente non è,  e lasciare che i motivi di un pensiero laico sul mondo si confrontino serenamente con quelli della fede.

C’è un margine di condivisione – anche forte – fra il credente e il non credente in ordine alla novità di una figura papale che viene dal continente sudamericano e che sceglie il nome Francesco, mai usato prima. Il non credente si aspetta da questi segni la conferma che la chiesa, che controlla ancora tanta parte delle coscienze, recuperi il senso dell’umiltà e della povertà francescane, annettendo a questa evenienza il desiderio di un mondo un po’ più sgravato dal peso di un dogma e di una concezione secolare del rapporto con la vita reale e politica dei popoli. Il credente sente – per parte sua – che tali segni possano consolidare un percorso di semplificazione e di recupero delle radici cristiane, dove il posto per l’istituzione ecclesiale sia ridimensionata a tutto vantaggio della spiritualità più genuina.

Ma cos’altro può essere condiviso?

Il non credente sa perfettamente che anche il papa più dolce, umile, buono, “francescano”  (sia pure gesuita) del mondo non modificherà le cose che fanno la differenza fra la cultura laica e quella religiosa: il rapporto con la sessualità (una delle postazioni più disastrose della “ideologia” cattolica), la posizione di subalternità e di emarginazione della donna, il rapporto con il potere, l’aborto, il divorzio, l’omosessualità.

Il credente ha una sorta di tratto distintivo, un marker culturale che lo differenzia inesorabilmente dal non credente: pensa che quest’ultimo debba adattarsi alla verità, all’assoluta evidenza della fede e, conseguentemente, vive con disagio quando non con rifiuto l’autonomia di un pensiero legislativo (che regola i rapporti civili fra gli individui) che non vincoli anche il non credente a quella verità e a quella evidenza.

Il non credente dice: facciamo leggi che permettano a chiunque di scegliere secondo la propria coscienza.

Il credente dice: se il non credente sceglie, commette un peccato e questo non è tollerabile, giacchè il fine supremo di ogni credente è quello di contribuire ad emendare il mondo di ogni forma di peccato.

L’aborto è, fra tutti, il tema più lacerante e doloroso. Su di esso cui si consuma la definitiva frattura fra chi pensa che il diritto massimo e inalienabile sia quello della donna (sia pure assistita e sorretta) e chi pensa che l’unico diritto che conta è quello dogmaticamente affermato dalla fede: e cioè dell’embrione, a cui il credente dà una sostanza spirituale,  che per il non credente dovrebbe quindi essere estesa anche a masse tumorali, a ovociti e – perché no? – ai filamenti del DNA.

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it