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LE FIABE, TRA INCANTESIMI, SESSUALITA’ E PULSIONI TRASGRESSIVE
07 Giu 2013 04:19
Ogni fiaba che si rispetti, si sa, ha un lieto fine con il famosissimo “…e vissero felici e contenti”, ma ci si è mai chiesti quale sia il seguito o quali siano i reali fatti che lo hanno anteceduto?
La Walt Disney ha dato a tantissimi bambini, ed anche a quelli che sono gli adulti di oggi, la possibilità di conoscere quelle che sono le fiabe più belle dei Fratelli Grimm o di Perrault, ma le ha nel frattempo anche “rimodulate” o filtrate dagli elementi più “trasgressivi” presenti, che avevano una loro valenza, anche pedagogica.
Quando stavano per celebrare le nozze, arrivarono le sorellastre, che volevano ingraziarsi Cenerentola e partecipare alla sua fortuna. E mentre gli sposi andavano in chiesa, la maggiore era a destra, la minore a sinistra di Cenerentola, e le colombe cavavano un occhio a ciascuna. Furono punite con la cecità per tutta la vita, perché erano state false e malvage.
La morale delle fiabe tende a tracciare il confine varcabile fra l’ammissibile e il non ammissibile, e i malvagi o coloro che cedono a vili tentazioni sono puniti, a volte anche con la morte. Il lieto fine è per i “buoni”, per i virtuosi e gli eroi, con cui il lettore tende a identificarsi. Quest’eroe, per diventare tale, deve spesso superare prove e fatiche, a volta anche disubbidendo o mentendo, ma a fin “di bene”, perché è da quella parte che egli sta. Gli altri personaggi, se compiono del male gratuitamente, sono ferocemente puniti, così come accade alle sorellastre di Cenerentola. Ecco quello che si può definire il messaggio pedagogico delle favole: una sana disobbedienza è ammissibile ed utile, ai fini di acquisire autonomia e autoconsapevolezze, quello che in termini sistemici potremmo definire uno “svincolo riuscito” da parte dei figli dalle figure genitoriali o chi per loro.
E dopo il vissero felici e contenti cosa ci sta?
Nelle fiabe il matrimonio, quasi sempre con il principe, rappresenta il lieto fine della storia, quasi ad incarnare il mito della felicità; ma quale sia il seguito non si sa, perché mai la fiaba, almeno classica, lo ha affrontato. Ripercorrendo il periodo storico (‘800) e gli studi in proposito di Valleur e Matyasiak, viene fuori un quadro pudico e di rigorosa morale, per cui l’argomento sessualità era certamente un tabù conclamato.
Il tema del matrimonio con la formula “e vissero felici e contenti” rappresentava all’epoca, e soprattutto i Fratelli Grimm se ne servirono, un modo per camuffare la sessualità.
Una vera e propria ipocrisia sessuale, in quanto educava ad una morale secondo cui l’agire sessuale era quindi possibile solo all’interno dell’istituzione matrimoniale. La borghesia del tempo le sperimentò tutte per tenere a bada le pulsioni dei loro giovani, ma “purtroppo” per loro poco dopo arrivarono le rivoluzioni psicoanalitiche a sconvolgere questi concetti educativi.
Dopo più di un secolo, siamo ancora disposti ad immaginare una felicità esclusivamente legata ad un’unione istituzionalizzata o eterosessuale o fra “appartenenti alla stessa razza”?
Credo che tutto ormai dovrebbe incominciare là dove finisce la fiaba.
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