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IL CIELO DELLA MIA INFANZIA (NEBO MOEGO DETSTVA)
28 Giu 2013 06:47
“Il Cielo della mia Infanzia” [1] è un film biografico ispirato ai primi anni della vita del Presidente del Kazakhstan, Nursultan Nazarbayev, realizzato nel 2011 dal regista Rustem Abdrashev. Quando uscì in anteprima ad Astana, il Presidente del Kazakhstan, protagonista del film, appena eletto per il suo quarto mandato, gli diede la propria benedizione[2].
Nel film simbolismo e allegoria compenetrano incessantemente gli aspetti biografici. Inizia e finisce con un cameo dello stesso Nazarbaev, il quale dall’alto dell’aereo presidenziale, sorvolando le cime innevate e le verdi vallate della catena dell’Alatau, nel sud-est del Paese, medita sul proprio passato, stendendone le memorie.
I panorami di montagna si avvicendano mentre la telecamera inquadra la macina in pietra della nonna del piccolo Sultan, la quale, personificando l’atavica saggezza appartenente al mondo femminile delle steppe[3], invita il padre Abish ad insegnargli la genealogia della sua famiglia.
All’improvviso l’attenzione del piccolo Sultan viene catturata da un aereo che vola a bassa quota e lui lo insegue correndo con le braccia aperte per imitarne il volo. Quindi raggiunge la sommità di una roccia, donde il suo sguardo penetrante domina gli spazi sottostanti quasi a voler presagire il fulgido destino che lo attende.
Già quest’inizio è un biglietto da visita altamente simbolico che rende la cifra dell’iterata osmosi fra tradizione e modernità che caratterizza ogni dettaglio, ogni minimo particolare del film.
Il padre, la madre e la nonna instillano in lui, sin dalla nascita, l’essenza di quella che sarà la sua missione di leader della repubblica.
Altro momento saliente e sintomatico è quello della nascita.
I genitori eseguono un rituale presso la tomba di Raiymbek Batyr, condottiero kazako del XVIII secolo, onde propiziare la concezione di Nursultan[4]. A questo punto la dimensione del sacro irrompe nella realtà, come avviene per la nascita di grandi leader storici e religiosi. La madre Aljan, avvolta in candide vesti, sogna di immergersi fra i flutti di un mare dalle cui acque raccoglie un’antica e preziosa arma, decorata in argento, quasi a voler indicare la riuscita del rito.
Ricordiamo che l’elemento talassico rievoca Genghis Khan, il cui appellativo: genghis < čingis è una palatalizzazione della voce mongola, tengis, antico turco tengiz, mare[5]. Il termine in questione proviene dalla forma rotacizzata: tenger[6], il cielo e dal teonimo Täŋgri, la divinità uranica dei turchi e dei mongoli.
Quindi la madre partorisce in un ospedale russo, in condizioni meteorologiche soprannaturali, anch’esse evocanti motivi religiosi legati a prodigi di “dominio sul tempo atmosferico” di cui è intrisa la storia leggendaria del Paese. Pensiamo solo al mistico e letterato, Ahmed Yassawi e alle sue facoltà miracolose di sovranità sugli agenti atmosferici [7].
Il bambino cresce in montagna, dove la sua famiglia conduce una vita nomade, il padre pasce gli armenti. Durante il primo inverno di Sultan, i lupi attaccano la loro abitazione e feriscono permanentemente il padre Abish ad una mano, mentre tenta di salvare un agnello. È proprio in questa circostanza che appare un’altra figura molto carismatica e tradizionale, un Aqsaqal[8] che aiuta il padre di Nazarbayev ad allontanare i lupi e che in seguito inizierà il piccolo Sultan alla caccia con l’aquila. Altra attività tradizionale kazaka pregna di simbolismo.
Dopo la fine della guerra, la famiglia Nazarbayev si stabilisce nella vicina Chemolgan. A causa di questo spostamento forzato, un effetto della collettivizzazione, Sultan è esposto a un ambiente più multinazionale, formato da russi, balkari e ceceni, deportati nel Kazakhstan sovietico durante il 1944 e, da adolescente, impara il tedesco a scuola.
Durante le celebrazioni del Giorno della Vittoria nel villaggio, il film inquadra una scena con donne russe che suonano la fisarmonica, ceceni che ballano il lezginka, kazaki che lottano, mentre una banda musicale suona canzoni di vittoria sotto una bandiera sovietica. Immediatamente, si vedono soldati di ritorno dal fronte accalcati su camion con i fiori in mano per incontrare i loro cari.
Tali scene in cui i volti fortemente caratterizzati e gli appariscenti costumi di tutte le etnie che pacificamente convivevano in questo sperduto villaggio vengono passati in rassegna, evocano il film di Peter Brook, “Meetings with Remarkable Men”.
Più tardi, Sultan gareggia con un gruppo di kirghisi cavalieri al gioco del Kökpar, detto Buzkashi in Afghanistan e reso celebre dal film “Rambo III”, e naturalmente, emerge come vincitore.
A Chemolgan anche lui forgia un legame con la sua identità kazaka, prendendo lezioni di dombra e aiuta il padre a coltivare le mele nel suo orto.
Sultan non piange quasi mai e da adolescente prende sempre le decisioni giuste, vince le gare, si esibisce al meglio a scuola, sa ballare e recitare poesie.
Il film celebra i valori come il multiculturalismo, che diverrà uno dei punti programmatici delle politiche sociali dell’attuale Kazakhstan, quindi la dignità del lavoro manuale, la coesistenza pacifica fra culture e civiltà, la tolleranza e il reciproco rispetto tra le etnie e le confessioni religiose ed ancora il rispetto per l’autorità e per la comunità. Anche qui emblematica è una scena in cui il padre di Nazarbayev e lo zio riforgiano una baionetta in una falce, che poi consegnano al piccolo Sultan.
Storia e politica raramente interferiscono con la vita del piccolo Sultan. In una scena, una famiglia balkar dal Caucaso del Nord è deportata nel loro villaggio ed accolta a casa dei Nazarbayev. E la voce del narratore, che è lo stesso Presidente, biasima “qualche commissario di guerra” per la decisione di espellere l’intero gruppo etnico. L’amico balkar di Sultan, Hussein, poi si lamenta che i deportati siano esclusi dalla scuola di aviazione[9].
Accanto alla tradizione, tuttavia non manca l’esaltazione della modernità in stile sovietico e futurista al contempo. Un’immagine persistente è quella di un aereo che vola sopra le loro teste quale simbolo della modernizzazione da una parte e di svincolamento dall’esistenza contingente, dall’altra. Tuttavia quando al giovane Sultan sarà offerta la possibilità di studiare presso l’Istituto di aviazione civile di Kiev, deciderà di sua spontanea volontà di rimanere nel suo villaggio natale e aiutare il padre con il lavoro agricolo.
Il film termina con la scena di un funzionario statale il quale viene a informare il padre del giovane Nazarbayev che avrebbe dovuto pagare le tasse sui suoi alberi di mele, fatto che, in aperto contrasto con la pacatezza che esprime in tutto il film, provoca in Abish una tale ira da indurlo ad impugnare una scure ed abbatterli tutti.
In questo modo, il regista Abrashev rappresenta lo stato sovietico e la double face dei suoi agenti talvolta benevoli e talvolta moderatamente repressivi. Tuttavia, nel film non vi è risentimento nei confronti della Russia, vista alla fine come una civiltà che ha concesso al Kazakhstan di accedere occidente, alla modernità, e quindi che elargisce al futuro Presidente la possibilità di seguire il suo percorso verso l’istruzione superiore, la cultura, e infine, verso il potere politico[10].
Ne “Il cielo della mia infanzia” questa connessione simbiotica di Nazarbayev alla terra kazaka e al modo tradizionale di vivere della sua gente viene ripetutamente ribadita. E presenta un Kazakhstan che si pone come modello di civiltà aperta alla diversità, capace di includerla nel rispetto della tradizione e nella tolleranza senza cedere a facili ed estemporanei sincretismi.
Attualmente, Abdrashev sta girando la seconda parte di quella che diventerà una trilogia sulla vita di Nazarbayev[11].
[1] Небо моего детства, Nebo mojevo Detstva (kaz.Балалық шағымның аспаны, Balalïq šaghïmnïng aspanï).
[2] http://www.kinokultura.com/2012/36r-nebodetstvo.shtml.
[3] In mongolo ed antico turco esiste la voce: em, äm, medicina, medicamento, ma anche donna, femmina, da cui emč, ämči, medico, guaritore ed oggi dottore, è un fonema che ha origini antichissime nella cultura altaica. In lingua kazaka, kirghiza, tuvina (lingua turca parlata a Tuva, una repubblica della Federazione Russa) e rispettivamente quella mongola i verbi emdev, emdöö, emneer ed emnekh significano guarire e curare.
[4] http://www.kinokultura.com/2012/36r-nebodetstvo.shtml.
[5] İsmet Zeki Eyuboğlu, Türk dilinin etimoloji sozlüğü, İstanbul, 1995. E.V. Sevortian, Etimologičeskji Slovar’ Tjurskikh Jazykov, Moskva, 1974. p. 194.
[6] D.Tömörtogoo, A Modern Mongolian-English-Japanese Dictionary, Tokyo, 1977.
[7] Ermanno Visintainer Ahmed Yassawi. Sciamano, sufi e letterato kazako, Centro Studi Vox Populi, Pergine Valsugana, 2010.
[8] Aqsaqal , letteralmente: “Barba bianca”, anziani leader della comunità.
[9] http://www.kinokultura.com/2012/36r-nebodetstvo.shtml.
[10] http://www.kinokultura.com/2012/36r-nebodetstvo.shtml.
[11] http://www.kinokultura.com/2012/36r-nebodetstvo.shtml.
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