L’EUROPA CHE NON C’E’

In un interessante articolo comparso sull’ultimo numero di Alfabeta2, Franco Berardi Bifo si interroga sul concetto di Europa, sulla sua valenza ideale e sulle sue concrete manifestazioni storiche e ne conclude che la “cosa” non c’è.

Non c’è quella cosa che ci era stata rappresentata come un destino comune, sembrando realisticamente che il destino sia una nozione troppo astratta per un meccanismo tarato sugli interessi di una oligarchia al potere che detta costantemente l’agenda politica a governi e persino ad opposizioni.

Bifo prova ad applicare alla materia un singolare strumento di esercizio storico: immaginare cosa sarebbe (dell’Europa e di altro) se alcuni eventi fondativi avessero preso un’altra direzione piuttosto che quella che hanno realmente preso. Immaginare cioè cosa ne sarebbe del fundus delle società europee, dei loro conflitti interni, delle loro dinamiche di classe se, ad esempio, la rivoluzione russa del ’17 non fosse caduta in mano ad un manipolo di “paranoici” rosso vestiti. O, addirittura, cosa ne sarebbe dell’esperienza socialista disseminata nel continente fra gli anni ’60 e i primi anni ’70 (fino all’instaurazione del regime del terrore nei paesi latino-americani), se gli Stati Uniti d’America – paese destinato, secondo Bifo, al comunismo – non avessero interpretato la funzione storica di contrapposizione al mondo del male quale si srotolava da Berlino in poi.

L’Europa come la vediamo e patiamo oggi è un organismo strumentalmente al servizio dei processi di eradicazione di ogni forma di dinamica sociale e politica: vi prevale la cultura dell’esubero del lavoro o della sua necessaria precarizzazione, vi prevale la logica dell’austerità come controllo penalizzante delle tensioni, vi prevale la filosofia della trasformazione del dono in vincolo di scambio.

E non perché l’Europa è tutt’altro che una;  non perché si muove, reagisce, palpita a due o a tre velocità (quella dei paesi forti, quella dei paesi a rischio, quella dei paesi saccheggiati); non perché sia il teatro di processi di revanscismo culturale e ideologico persino preoccupanti.

Ma solo perché niente che indichi una strada alternativa, costruttiva, progressiva può venire da lì: l’Europa come l’abbiamo immaginata era una nozione ancora fortemente impregnata di quel sentimento che può sorgere solo dentro un contesto plurimo, dove si agitano gli anticorpi potenti allo strapotere del capitalismo post-industriale. L’Europa della stagione delle possibilità.

Non c’è sogno, non c’è condivisione, non c’è comunanza nell’asfittico mondo dell’ “individuo imprenditore di se stesso”. Il neo-liberismo fa dell’idea dell’Europa un delirio mistico. 

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