L’ANTICAPITALISMO DEBOLE DELLA DESTRA

La destra europea, quella dura e pura (o che ama definirsi tale….), ha sempre professato il suo sentimento anti-capitalistico, il suo ribrezzo per la finanza  (colpevole, a suo dire, di snaturare il rapporto che il cittadino-individuo ha con lo stato, che dovrebbe essere improntato a valori come il coraggio, la lealtà, l’amor patrio, e così via), la sua anima anti-borghese.

Le radici culturali della destra sono – salvo sparute eccezioni – piuttosto esili e alquanto confuse: il pensiero anti-borghese per antonomasia è quello sviluppatosi nell’Europa del XIX secolo dentro la tradizione socialista e poi comunista. Fuori da questo solco, pensatori come Nietzsche rappresentano esempi di un anelito individualistico, anti-sociale, a un ritorno alle condizioni primigenie dell’umanità, dove la volontà del singolo è più forte e importante dei bisogni dei tanti e l’anima romantica si trasforma in superomismo.

Non è certo un caso che nel parterre intellettuale della destra Nietzsche compaia in compagnia di Karl Marx, un’occasione troppo ghiotta per chi professa un odio radicale per la borghesia di appropriarsi del più critico fra tutti della sua ideologia.

E così la contorsione filosofica nasconde la sostanziale propensione della destra ad una interpretazione antidemocratica della vita sociale, una visione pesantemente segnata dall’individualismo e dalla sfiducia verso la dimensione collettiva della vita sociale.

Ma, ahimè, quando le radici sono deboli, anche la pianta lo è: l’anti-borghesismo di facciata non ha impedito ai principali movimenti della destra novecentesca – fascismo e nazismo – di allearsi con la borghesia agraria (in Italia) e industriale (in Germania) per il raggiungimento di un potere totalmente declinato in senso anti-operaio e  anti-socialista.

L’avversione per la finanza e le sue degenerazioni economiche non ha impedito il patto scellerato fra i settori più ideologizzati della destra italiana e pezzi reazionari dello stato (servizi segreti, lobbies militari, bancarie) che eseguivano il mandato di una oligarchia in rapida ascesa dopo le stagioni calde degli anni sessanta.

Probabilmente la ragione fondamentale per cui la destra tradisce così facilmente le sue “credenziali” culturali sta nelle pieghe dolenti della sua radice cristiana: un cristianesimo, quello della destra, non declinato al sentimento evangelico della compassione per gli umili e i deboli; bensì declinato alla rappresentazione della pretesa superiorità della civiltà occidentale, ai suoi miti fondativi, alla sua cultura antisemitica, al suo orrore per tutto ciò che è cambiamento.

In fondo, anche la “rivoluzione fascista” degli anni ’20, tolta la gramigna socialista rimasta dai trascorsi mussoliniani, non fu nient’altro che una controrivoluzione preventiva!

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