LA SEMPLIFICAZIONE: UNA RISPOSTA ALLE IMPRESE

Le tasse che incidono maggiormente nell’attività di un’impresa sono riconducibili a tre momenti principali: al pagamento dei lavoratori, al pagamento delle tasse sul reddito (IRPEF, IRES e IRAP) e al pagamento dell’IMU sugli immobili strumentali. Riflessioni appaiono obbligatorie su tutte e tre le tipologie di imposte: un’azienda spende troppo rispetto a quanto il lavoratore effettivamente percepisce. Tale differenza si chiama cuneo fiscale e nel 2012 è stato in media pari 47% dell’esborso totale, di cui il 21% mediamente a carico del lavoratore e il 26% a carico del datore di lavoro (fonte: OCSE). Tale forbice, oltre ad essere circa 10 punti percentuale più alta della media OCSE, costituisce una vera e propria sottrazione dalle tasche dei lavoratori, soldi che potrebbero essere immediatamente destinati al rilancio della domanda interna. La teoria economica è pressoché unanime nell’affermare che: anche un aumento modesto dello stipendio nei confronti delle categorie medio-basse di lavoratori ha un impatto immediato sul carrello di beni che questi acquistano. Faccio un esempio: chi guadagna 1500€ al mese e passa a guadagnarne 1800, riverserà in nuovi consumi quasi tutta la differenza di reddito; invece per chi guadagna già 6000€ al mese, un aumento anche di 2000€ non andrà interamente destinato in nuovi consumi ma verrà utilizzato per altre attività come risparmio privato o previdenza integrativa. Avete capito quali sono le prime tasse da abbassare, una volta che se ne presenti l’opportunità. Circa l’IRAP, ovvero imposta regionale sulle attività produttive, la considerazione è la seguente: una tassa che non è proporzionata esclusivamente all’utile di esercizio ma si basa anche su costi (relativi al personale e agli interessi passivi), è semplicemente iniqua. Introdotta nel 1997 dall’allora Ministro Visco, l’IRAP copre fino al 40% della spesa sanitaria delle regioni. Una sua diminuzione non è però necessariamente legata alla riduzione del costo della sanità, poiché è possibile livellare l’aliquota tramite la copertura di altre risorse derivanti da risparmi sulla sconfinata spesa pubblica e provenienti dal progetto di privatizzazioni avviato dal governo Letta. Circa l’IMU sugli immobili strumentali, la critica è che l’imposta si applichi ad un bene indispensabile allo svolgimento dell’attività imprenditoriale, quali gli edifici aziendali e gli uffici. Inutile ripetere che per abbassare le tasse l’imperativo categorico è tagliare: non a caso e con un’accetta, bensì con l’ausilio di un bisturi brandito dalla mano ferma di qualcuno che conosca in maniera approfondita gli sprechi della spesa pubblica. Spero che Carlo Cottarelli sia l’uomo giusto per farlo.
La burocrazia è come una zavorra attaccata al piede di un nuotatore che cerca disperatamente di rimanere a galla: non solo gli adempimenti richiesti a chiunque svolga un’attività produttiva sono infiniti, essa risulta inefficiente e incapace di dialogare con la controparte privata, sia essa un cittadino (divertente è questa storiella di Pietro Ichino) o un’azienda. Per migliorare la burocrazia è necessario introdurre anzitutto un criterio meritocratico al suo interno, come con semplicità ha suggerito lo stesso Ichino ad una recente conferenza: una parte di remunerazione variabile, corrispondente al 20% dello stipendio di un dipendente, erogabile soltanto all’esito positivo di un questionario anonimo compilato dagli interlocutori, una volta che abbiano beneficiato del servizio. Ottime idee per migliorare la burocrazia ci sono: tutto sta nel volerle mettere in pratica e dichiarare guerra ad alcuni impiegati scansafatiche e indisponenti. Se si vuole quindi che la disoccupazione italiana ritorni a livelli socialmente accettabili, occorre agire in fretta. In caso si perdesse troppo tempo, la situazione di stagnazione potrebbe diventare irreversibile. Perché il lavoro non si potrà creare in una notte con decreto, né tantomeno crescerà sugli alberi.

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