LE ANOMALIE ITALIANE

Difficile difendere Letta, il cui sbiadito governo non ha avuto l’incisività e la forza di rinnovamento chieste a gran voce ormai da tutto il Paese. Difficile apprezzare l’accelerazione di Renzi, che, dopo tante dichiarazioni in senso contrario, ci regala il terzo capo di governo non eletto nel giro di due anni o poco più. Difficile capire un partito come il PD, che fagocita i propri esponenti uno dopo l’altro, avviluppato in primarie e congressi senza fine, che sembrano pensati di proposito per amplificare le rivalità endemiche e moltiplicare le faide interne.

Ma certo altrettanto poco apprezzabile e poco credibile appare Alfano, che dà una sorta di ultimatum a Renzi “Faccia grandi cose o voto”, mentre è responsabile quanto Letta di non aver saputo (o voluto?) proporre e imporre nessuna delle riforme non più differibili, né quelle moralizzatrici della politica, come il taglio delle indennità e dei privilegi di parlamentari e partiti, né uno straccio di provvedimento per il lavoro che non c’è, per le imprese che chiudono o che vanno via dall’Italia. SEL difficilmente rinuncerà al suo ruolo di essere “contro” sempre e comunque, mentre ancora più marginale appare il ruolo di Scelta Civica, che ha sostenuto Letta fino ad oggi, e oggi stesso sostiene Renzi. D’altronde non può permettersi il lusso di invocare il voto per il fondato timore di svanire dalla scena. Casini, poi, appare  un sopravvissuto a se stesso. A completare un quadro così poco confortante, la notizia che Napolitano per le rituali consultazioni prima di affidare l’incarico a Renzi, incontrerà, fra gli altri,  un leader espulso dal Senato perchè condannato in via definitiva e ineleggibile, che tuttavia guiderà la deputazione del suo partito. E la parola  “suo” è da prendere proprio alla lettera!

Verosimilmente Renzi si accinge a governare, con la stessa coalizione di Letta e con lo stesso partito di maggioranza relativa, un Paese allo stremo, sfiduciato, incattivito, corrotto. Possiamo credere che la forza della sua determinazione basterà a innescare un incisivo processo riformistico?  C’è un’eccessiva  e non so quanto democratica personalizzazione della politica, che concentra ogni attenzione, speranza o critica sull’individualità dei leaders, che tende ad apparire come l’antidoto alla disarmante pochezza di idee e progetti, che non siano i soliti “faremo”, “riformeremo”, “sburocratizzeremo”,  parole cui nessuno può più attribuire credibilità. Perfino i “saggi” nominati da Napolitano non hanno saputo (o voluto?) proporre alcunchè di radicalmente innovativo. Davvero non avevano proposte migliori dall’alto delle loro competenze? Piuttosto l’assoluta prevalenza di interessi e posizioni angustamente partitiche, funge da freno e da veto a qualsiasi volontà di cambiamento, tanto da impedire a deputati, senatori, ministri, di porre con forza l’unico problema di cui dovrebbero occuparsi: cosa può giovare agli italiani?

Forse per porre questa domanda è già tardi, irrimediabilmente tardi. A meno che il più giovane primo ministro che ricordiamo saprà farci ricredere.

 

 

 

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