LA CRISI UCRAINA E IL DRAMMA DEI TATARI DI CRIMEA

Molti anni fa, nonostante ne possedessi i titoli, mi trovai coartato a seguire uno di quegli pseudo-corsi formativi di mediazione culturale organizzati dalla Provincia Autonoma di Trento. Uno di quelli – tanto per intendersi – finalizzati a sistemare gli “amici” della casta che presiedevano le lezioni. Dall’altra parte, al mio fianco fra i banchi dei partecipanti c’era anche una mediatrice ucraina con la quale, una volta, ebbi una sorta di diverbio. Dovevamo elencare dei Paesi in ordine di preferenza quindi confrontarci fra chi amava e chi aborriva lo stesso Paese. Così ci trovammo a discutere di Polonia, Paese da lei prediletto. La cosa che mi colpì fu che, sebbene l’Ucraina, sulla scorta delle letture dello slavista Francis Conte, ai miei occhi rappresentasse la terra di quei Rus’-Variaghi, dove avvenne la metamorfosi linguistico-letteraria che gettò le fondamenta della prima entità statuale “russa”. Un gruppo plurietnico che a Kiev, nel X secolo, amalgamò principi scandinavi, elementi ugro-finnici ed altaici con la massa slava. La signorina ucraina in questione mi obiettò che lei invece, per cultura e tradizione, si sentiva maggiormente affine ai polacchi.
Una considerazione, forse, un po’ superficiale la mia che prescindeva dagli sviluppi successivi della storia del Paese, caratterizzati da secoli di dominazione polacca e mitteleuropea, che occidentalizzarono gli ucraini, rispetto ai russi, pur essendo accomunati con questi ultimi per tipologia linguistica, religione, ethnos e storia.
Ma oggi, come si sa, in Ucraina è in corso uno scontro che si annuncia violento fra le due principali etnie ivi residenti: gli ucraini filo-occidentali e pro-atlantisti da una parte ed i russi eurasisti dall’altra. Rispettivamente il 77,8% ed il 17,3 % della popolazione. Dopo la caduta del governo di Viktor Yanukovich che, piacesse o no, era stato eletto democraticamente con il 48,96% dei voti, utilizzando sempre la solita tecnica mediatica della demonizzazione, dell’accusa di regime dittatoriale e di satrapia, la UE immemore dei totalitarismi fiscali di casa propria è schierata dalla parte dei rivoltosi di Piazza Majdan. Analogamente a Piazza Tahrir o piazza Taksim.
Una posizione perfettamente coerente, dal punto di vista dell’Europa merkeliana delle banche, pronta ad impinguarsi alle spalle dei Paesi mediterranei e neo-membri, come la recente Croazia. Stupisce d’altra parte il fatto che questi Paesi, sembrino ancora scrutare anacronisticamente ammaliati dall’utopia di un’Europa occidentale quale modello politico ideale e assoluto, ignari del suo “vizio oscuro” – come ebbe modo di scrivere Massimo Fini – di volere eternamente il Bene e di operare eternamente, in una sorta di eterogenesi dei fini, il Male[1]. Apparentemente altresì ignari del fatto che i movimenti anti-euro stanno crescendo in tutta l’Europa. In una vicina Ungheria che, tanto per fare un esempio, cacciata la BCE festeggia il suo trionfo economico[2].
Mentre, i legami commerciali con la Russia sono importanti per l’Ucraina, e l’Unione Doganale Euroasiatica, a differenza dell’Unione Europea, funziona.
Tuttavia, tale posizione spiazza molti osservatori in contesa fra geopolitica e pathos militante.  A tal riguardo c’è altresì da aggiungere che il confronto fra eurasismo e altantismo non è così netto e manicheo come lo si vorrebbe dipingere. Ci sono elementi di trasversalità.
Tant’è che la crisi in cui sta precipitando l’Ucraina e che la potrebbe portare alla frammentazione in due entità, si è trasferita in Crimea per via della sua posizione altamente strategica per la Russia.
Questa mattina mezzi militari russi armati sono stati avvistati sulla strada che da Sebastopoli porta a Simferopoli. Il convoglio militare – che conta centinaia di soldati – era diretto verso la capitale della Crimea. Dal canto suo, l’Ucraina questa mattina ha richiamato i riservisti dell’esercito e ha convocato d’urgenza il Parlamento. Una  mobilitazione e finalizzata a garantire l’integrità territoriale dell’Ucraina. Il capogruppo del partito “Patria” di Iulia Timoshenko, Arseni Iatseniuk, ha affermato che la Russia ha dichiarato guerra al Paese e che la Nazione è sull’orlo del disastro [3].
Come scrive Gianandrea Gaiani, Direttore della rivista di studi militari e strategici “Analisi Difesa”, Mosca non può permettersi di perdere la base di Sebastopoli, indispensabile per contenere la presenza della Nato nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Per dimensioni e infrastrutture, Sebastopoli non sarebbe rimpiazzabile in breve tempo da altri porti russi sul Mar Nero (Sochi o Novorossysk) che richiederebbero lunghi e costosi lavori per essere attrezzati come la base in Crimea[4].
Tuttavia, ritornando alle compagini etniche di questa regione del mondo, essendo questo uno dei termini della contesa e della trasversalità geopolitica, non scordiamo che la Crimea, etimologicamente fu la “Terra dei Cimmeri”. E se vogliamo a questo punto essere esaustivi nella nostra analisi, non possiamo prescindere da una componente, dal punto di vista del diritto di cittadinanza, storicamente importante come quella dei tatari di Crimea.
Eredi turcofoni di antiche popolazioni: dagli sciti ai greci, dai goti ai peceneghi, quindi cumani, kıpčaq, mongoli e altri e del Khanato di Crimea che dal 1475 al 1774 costituì uno stato vassallo dell’Impero Ottomano. Fino alla fine del XIX secolo rappresentavano la maggioranza assoluta della popolazione, in seguito però, per opera di Stalin, subirono assimilazioni, migrazioni e deportazioni di massa verso l’Asia centrale. E con il crollo dell’Unione Sovietica i superstiti tornarono in Crimea.
Mustafa Abdülcemil Qırımoğlu, conosciuto anche come Mustafa Jemilev è un politico, leader dei tatari di Crimea e membro del Parlamento ucraino a partire dal 1998.
In Crimea, detta in tataro anche Qırım Muhtar Cumhuriyeti o Repubblica Autonoma di Crimea, secondo dati relativi al 2001, i tatari formano il 12,1% della popolazione. Fonti turche relative al medesimo anno ne contano 248.000. A questi si aggiungerebbero circa 800.000 unità disperse fra Uzbekistan, Turchia, Federazione Russa, Romania e Bulgaria.
Un terzo Paese sensibile all’integrità territoriale di questa regione è la Turchia per via della sua eredità storica, oltre che per essere il Paese che accoglie il maggior numero di esuli tatari crimeani. Un aspetto di quella “Profondità Strategica” che fu parte della politica estera di Ankara degli ultimi anni.
Secondo il politologo turco Toğrul Ismayil, la Turchia dovrebbe:
1.    Sollecitare il Governo ucraino ad accelerare il ritorno dei tatari di Crimea deportati da Stalin nella loro patria storica, la Crimea.
2.   Come parte di questo processo il Governo ucraino dovrebbe semplificare ai tatari di Crimea, ora dispersi in tutto il mondo, le procedure per ottenere la cittadinanza ucraina.
3.   Sostenere pienamente il ritorno dei tatari di Crimea, e, se necessario, sollecitare l’appoggio della comunità internazionale onde garantirne e normalizzarne il rientro.
Lo scontro è pertanto complesso e non analizzabile attraverso le sole categorie dell’ideologia.
Non dimentichiamoci, peraltro, anche della piccola ma importante comunità italiana, discendente dalle Repubbliche marinare, insediata nella città di Kerč, anch’essa vittima di deportazioni ed assimilazioni.
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[1] Massimo Fini; Il vizio oscuro dell’Occidente: Manifesto dell’antimodernità, 2002.
[2] http://www.altrainformazione.it/wp/2014/03/02/la-grande-crescita-dellungheria-conti-pubblici-a-posto-bilancia-dei-pagamenti-perfetta-export-alle-stelle-e-trionfo/
[3] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Ucraina-comandante-Marina-si-schiera-con-filo-russi-c5f64c06-52a4-4e6a-b00e-9b40489f8790.html
[4] http://www.analisidifesa.it/2014/03/crisi-ucraina-mosca-non-puo-perdere-la-crimea/

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