GLI AMMALATI: LA CITTÀ SOMMERSA

 

Ci feriscono le notizie di malasanità, siamo preoccupati per il giovane modicano che rischia di non avere medicine essenziali della vita (ancora una volta è il mercato che vuole dettare legge!), ci sono tante sofferenze nascoste, tante famiglie provate, tante malattie vissute in solitudine. Tutti si sono voluti portare davanti al Signore nella preghiera per la città del mese di febbraio, mese in cui si è celebrata la giornata dell’ammalato. Anche questa volta ci si è riuniti nel cantiere educativo Crisci ranni, evocativo di tutte le periferie dell’esistenza, per la messa e l’adorazione, con tante presenze, anche di ammalati o di chi ha nella Chiesa un particolare carisma di attenzione a loro come l’Unitalsi. C’erano anche una delle famiglie aperte dell’Associazione papa Giovanni di don Bensi, c’erano i Piccoli fratelli. Nella sua omelia, don Manlio Savarino ha anzitutto ricordato il tempo che stiamo vivendo: il tempo della quaresima, che ci è dato per la formazione del cuore. E dalla formazione del cuore che rinascono le città! Cuore che si forma ai piedi della croce, dove si rivela l’amore eccedente di Dio, e così noi impariamo che il vero amore deve essere eccedente: gratuito, generoso, coraggioso! Allora saremo accanto a tutti, e anzitutto a chi soffre, ripartendo nella città dalla case dove si curano ferite e si vivono affetti che generano premura. La malattia – ha sottolineato il diacono Paolo Catinello – può diventare vetta di disumanità o di umanità. Per questo è necessario invocare quella “sapienza del cuore che – come dice papa Francesco nel messaggio per la giornata del malato –  ci fa diventare occhi per il cielo e piede per lo zoppo”. Si è quindi pregato per tutti gli ammalati. Per persone che lottano tra la vita e la morte. Per quelli che soffrono nel corpo e nello spirito, e sono nella depressione. Per quelli che sono afflitti da malattie rare, che diventano veri e propri calvari per loro e per le famiglie: nella preghiera si è chiesto che ciò che è  detto “raro” diventi invece “cura unica”, personale, come unico per ciascuno è l’amore di Dio. E si è pregato perché le parrocchie e la città escano e si facciano vicini ad ogni ammalato. Si è anche testimoniato come la malattia sconvolge la vita, ma fa scoprire l’essenziale e la vicinanza vera di tanti. Si è pregato per tutti coloro che sono chiamati ad aver cura degli ammalati. Si sono ricordati ammalati testimoni di fede come Alberto Portogallo che, man mano che la malattia avanzava, affinava la sua conoscenza e intimità con Dio, che diventava per lui come l’aria per il corpo. O come Nino Baglieri, che “correva” (seppur immobile) per il mondo a consolare, avendo riscoperto la vera vita sotto le ali della croce e così diventano missionario del vangelo. Prima della benedizione eucaristica è stato posto un segno: l’olio profumato sulle mani, a dire l’impegno di ricevere e donare consolazione. La preghiera per la città si è conclusa con un messaggio di speranza, richiamato con le parole di don Tonino Bello che, anche se gravemente malato di tumore, è andato a Sarajevo mentre c’era la guerra per testimoniare che l’unica via per l’umanità è la pace: «Quante sofferenze ci sono! Però è proprio dal Calvario che si diparte la speranza. Il mondo può cambiare. Riconciliamoci con la speranza. Arriva la Pasqua: frantumi il nostro peccato, frantumi le nostre disperazioni. Ci faccia vedere le tristezze, le malattie, la nostra confusione, il nostro fallimento, il nostro smacco, il nostro buco (perché potrebbe sembrare che abbiamo bucato nella vita)… ci faccia vedere perfino la morte dal versante giusto, dal versante della risurrezione, che è il versante della speranza». 

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