CELIACHIA E SENSIBILITÀ AL GLUTINE. I PARTE

Negli ultimi anni il glutine, una proteina presente in molti cereali, è entrato nel mirino delle scienze dietetiche, diventando sempre più temuto anche dalla popolazione non celiaca. È così che ha preso piede la dieta “gluten-free”, secondo la quale l’assenza di glutine favorirebbe la perdita di peso, soprattutto nei punti critici. Il cardiologo americano William Davis è stato uno dei principali sostenitori di questa teoria, ma sono sempre più numerosi i nutrizionisti, dietologi, star internazionali e sportivi a condividerla. Nei dintorni di Hollywood, star come Gwyneth Paltrow hanno adottato il regime alimentare “gluten-free” e ne vanno sbandierando i benefici per la linea. Quanto c’è di vero?

 

Facendo un passo indietro, bisogna innanzitutto conoscere la differenza tra celiachia e ipersensibilità al glutine (nota anche come gluten sensitivity): la prima è un’intolleranza permanente al glutine, la cui ingestione provoca una risposta immunitaria che causa gravi alterazioni del tratto iniziale dell’intestino tenue. La “vera” celiachia, infatti, è una malattia autoimmune che colpisce per ogni maschio almeno 2 femmine, e si sviluppa solo nei soggetti geneticamente predisposti in seguito all’assunzione del glutine. Chi soffre di celiachia è costretto a evitare i cibi che contengono il glutine (dieta aglutinata) per tutta la vita, e cioè una ampia varietà di alimenti derivati da frumento, orzo, segale e altri cereali. Se un celiaco assume glutine danneggia la propria mucosa intestinale, oltre a causare un malassorbimento dei nutrienti e, in alcuni casi, sviluppare altri sintomi (per esempio, di natura dermatologica) o patologie concomitanti (diabete, artrite reumatoide e tiroiditi).

 

La diagnosi certa di celiachia si effettua in primis attraverso un esame del sangue, volto a rintracciare la presenza di specifici anticorpi e autoanticorpi (transglutaminasi, anticorpi anti-endomisio, anticorpi anti-gliadina), testimoni di una reazione avversa all’assunzione di glutine. Per completare la diagnosi serve, però, la biopsia intestinale effettuata con gastroscopia, per verificare se c’è atrofia dei villi. Esami del sangue positivi, infatti, non danno la certezza della malattia perché vi possono essere dei falsi positivi.

 

La “sensibilità al glutine” è, invece, una forma non immunitaria di più recente caratterizzazione, che non comporta danni organici alle mucose, e si manifesta attraverso sintomi quali gonfiore, diarrea e affaticamento, ma anche mal di testa, dolori muscolari o nausea. Purtroppo, non sono ancora del tutto chiari i meccanismi di tale disturbo nelle persone non celiache, né vi sono dei biomarker in grado di fornire test diagnostici affidabili. Alcuni studiosi ritengono che la gliadina (la frazione nociva del glutine) sia tossica per tutti, e che la maggior parte delle persone sviluppi un meccanismo di protezione che mette al riparo i villi intestinali. Chi, invece, non sviluppa questa tolleranza alla gliadina, pur non essendo celiaco diventerebbe ipersensibile al glutine. E in questi casi pare che l’esclusione del glutine sia determinante per la scomparsa dei sintomi. Però, al contrario della celiachia, la gluten-sensitivity sembra essere transitoria, e potrebbe risolversi dopo un periodo di alimentazione senza glutine. Pertanto, la diagnosi deve necessariamente essere di esclusione, in primis rispetto alle altre patologie glutine-correlate. Si sottopone quindi il soggetto a un periodo di dieta aglutinata, e se questo risponde positivamente, si introduce nuovamente il glutine, per verificarne la risposta: in caso di un nuovo peggioramento, si può realmente supporre la diagnosi di sensibilità al glutine.

 

Che sia da seguire a vita o per un periodo definito, in cosa consiste la dieta aglutinata? Nell’esclusione totale di tutti gli alimenti contenenti glutine, in primis molti cereali (frumento, orzo, farro, kamut, segale, malto, spelta, triticale. L’avena dovrebbe esserne priva, ma spessissimo ne risulta contaminata!). Il semaforo è verde, invece, per le altre categorie alimentari e, tra i cereali, per mais, riso, grano saraceno, amaranto, quinoa e miglio. Ormai esistono in commercio centinaia di prodotti gluten-free: pasta, pane, zuppe, biscotti, snack, pizze surgelate, dolci e prodotti da forno. Ma il discorso non è così semplice, soprattutto nel caso delle preparazioni industriali, che sono a rischio di contaminazione crociata se avvengono in stabilimenti che utilizzano cereali contenenti glutine, cioè molto spesso. Tradotto, attenzione a salumi, caramelle, merendine, gelati, salse, dadi, insaporitori, budini, cibi pronti surgelati etc.

 

A oggi, in Italia risultano 164.500 celiaci, 15.830 in più rispetto al 2012. La prevalenza della malattia si aggira intorno allo 0.27% e, analizzando i dati all’interno delle singole popolazioni, la prevalenza nei maschi risulta mediamente dello 0.16%, rispetto allo 0.37% delle femmine.

Il trend della celiachia è dunque in aumento, come già riscontrato negli ultimi anni: ma ne sta davvero aumentando la diffusione oppure è la diagnosi che oggi avviene con più facilità? La seconda ipotesi è probabilmente la più veritiera, visti i progressi effettuati negli ultimi trent’anni. Fatto sta che i celiaci non diagnosticati sono sicuramente in tanti, molti dei quali non manifestano sintomi ma lamentano disturbi vita natural durante.

 

D’altro canto, oggi per tutti i celiaci la vita è molto più facile che in passato, non solo grazie alla varietà di prodotti alternativi, bensì anche a seguito degli enormi passi avanti fatti nella ristorazione collettiva: dal 2005, infatti, le mense di scuole, ospedali e strutture pubbliche devono “somministrare, previa richiesta degli interessati, anche pasti senza glutine”. Anche in bar e ristoranti, grazie all’impegno sul territorio dell’Associazione Italiana Celiachia (Aic) e alla sensibilità di chef e ristoratori, è sempre più frequente trovare menù o piatti ideati appositamente per celiaci. Così frequente che, quasi quasi, anche i non celiaci optano sempre più spesso per il gluten-free, e in molti provano la dieta aglutinata, convinti che possa far perdere quegli ostinati chili di troppo. Sarà vero?

 

Seconda parte dell’articolo la prossima settimana!

 

 

 

di Wanda Rizza

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