DENUNCIAMO IL VERO

Che la realtà giornalistica sia fallace, artefatta e manipolata dall’ideologia della testata che pubblica la notizia, è regola oramai radicata nel mondo dell’informazione, che sia sulla carta stampata, televisiva, radiofonica o cibernetica.

Alla base di questa banale considerazione, tuttavia, vi è la blanda certezza che, appunto, tale realtà raccontata si mantenga fallace, cioè illusoria e ingannevole, ma pur sempre legata a un qualche aspetto veritiero dell’accaduto o delle speculazioni che ne conseguono.

In termini più semplici significa che, raccontando un fatto qualsiasi, che sia di rilevanza politica o di cronaca, il giornalista manipola la redazione della notizia in modo da far arrivare al suo lettore il messaggio desiderato.

Altra cosa è, invece, lo stravolgimento totale dei fatti e la loro banalizzazione volti a infierire sul sentimento generale inducendo nella comune credenza miti falsi e false realtà.

Ciò accade con sempre maggiore frequenza perchè, raccontare il falso sperando in un mancato senso critico del lettore e nella sua ignoranza rispetto ciò di cui si parla, diventa funzionale a fagocitare la rabbia e la guerra tra poveri, a destare l’attenzione dai problemi reali e, soprattutto, a sminuire le responsabilità di un sistema che si fa sempre più forte grazie agli intrighi nei palazzi del potere.

Tutto questo preambolo, oltre ad annoiarvi, serve a spiegare i motivi di questo articolo cui monito è stata la lettura di un articolo a firma Matteo Carnieletto su Il Giornale e pubblicato lunedì 02 marzo 2015, dal titolo “Regaliamo agli immigrati la pensione sociale E loro tornano in patria a vivere come nababbi”.

 

http://www.ilgiornale.it/news/regaliamo-agli-immigrati-pensione-sociale-e-loro-tornano-1100608.html?utm_source=Facebook&utm_medium=Link&utm_content=Regaliamo%2Bagli%2Bimmigrati%2Bla%2Bpensione%2Bsociale%2BE%2Bloro%2Btornano%2Bin%2Bpatria%2Ba%2Bvivere%2Bcome%2Bnababbi+cla&utm_campaign=Facebook+Interna

 

Cercando di esularmi e trattenermi da qualsivoglia commento e/o critica a una idea personalissima del collega Carnieletto, e fermo restando la libertà di ognuno di professare e far circolare idee differenti dalla mia, ciò che ha sollevato nervosismo e rabbia inverosimile è stato il modo falso di presentazione della notizia.

Rettifico. Falso non è il termine più appropriato, in quanto il redattore de Il Giornale, nasconde dietro un apparente banalismo una mole di nozioni che meriterebbero una accurata introspezione e cui cercherò di provvedere per spiegare e dare senso alla mia denuncia.

Ma non solo, presentando la notizia in questo modo, Carnieletto sembra trasmettere una immagine del suo lettore non fraintendibile, che da per scontato il suo non essere in impossesso delle conoscenze necessarie per comprendere ciò di cui il giornalista sta parlando.

Non riporto l’intero articolo, sperando comunque che lo leggiate per comprendere ciò a cui mi riferisco, il sunto è che gli italiani devono faticare e sudare per ottenere l’assegno sociale da parte dello stato, mentre questi sporchi e cattivi immigrati possono goderselo senza sforzi e, addirittura, portandosi i soldini nei rispettivi stati di appartenenza.

Lasciamo stare il commento, perché futile e inutile risulterebbe, ma andiamo dritti al punto della denuncia.

Carnieletto sostiene che per un immigrato è più semplice ottenere l’assegno sociale perché, scrive, “Basta avere residenza stabile e abituale da dieci anni in un Comune italiano, essere titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo, non superare la soglia di reddito richiesta e, ovviamente, avere compiuto 65 anni”.

Basta solo? Questo “Basta solo” ha scatenato la mia catarsi emotiva. Procediamo nell’ordine delle affermazioni fatte:

–       Residenza stabile e abituale da dieci anni in un comune italiano, significa che devi possedere o avere un affitto regolarmente registrato presso l’Agenzia delle Entrate da almeno 10 anni, stabilmente e abitualmente. Cioè, se per caso, sei tornato un annetto al tuo paese perché tuo padre stava male o che sia, i dieci anni si resettano e ricomincia il conto alla rovescia. Ma, ovviamente, sarebbe troppo semplicistico valutare solo questo aspetto. Una delle considerazioni fondamentali e, forse, la più facile da dedurre, è che sempre più spesso, tanto gli italiani quanto gli stranieri, non vengono assunti in modo propriamente legale e senza contratto di lavoro non puoi dimostrare di poterti permettere un affitto e, quindi, non puoi permetterti di regolarizzare il tuo contratto  e dimostrare di risiedere stabilmente in un luogo. Gli esempi sono innumerevoli: i campi d’arance a Rosarno, le serre di Santa Croce Kamarina, le tante imprese edilizie strozzate dalla tassazione.

Come avrete notato ho preferito mantenere il riferimento a lavori considerati comunemente “onesti”, perché quello allo sfruttamento di queste persone da parte delle mafie risulterebbe banalizzato se così trattato.

In linea generale, ci tengo a precisare che non voglio giustificare il lavoro nero e il suo sfruttamento, ma solo riportare all’attenzione una realtà pesante e diffusa, che non può essere ignorata.

Ma, continuiamo col secondo punto:

–       Essere titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo.

Questo punto è quello che più mi ha fatto imbestialire, se non fosse che Il Giornale è organo ufficiale della Polizia di Stato, unica istituzione legittimata e autorizzata al rilascio dei permessi di soggiorno e, pertanto, dovrebbe meglio di altri conoscerne modi, tempi e regolamentazione.

Innanzi tutto, il documento in questione può essere richiesto entro 8 giorni dall’ingresso nel territorio, con apposita domanda inoltrata al Questore della provincia in cui l’immigrato abita e la sua durata è limitata a quella prevista dal visto d’ingresso, ovvero quell’apposito documento richiesto a tutti coloro che giungono dai paesi non aderenti al Trattato Schengen e che si deve esibire alle frontiere come giustifica della motivazione e della durata del soggiorno previsto, nonché, la disponibilità di adeguati mezzi finanziari e le condizioni di alloggio.

Inoltre, il numero degli stranieri che può entrare in Italia per motivi lavorativi, però, non è illimitato, ma è rigidamente fissato in appositi decreti, i cosiddetti “decreti flussi”, emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri sulla base delle indicazioni fornite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sullo stato dell’occupazione e sul numero degli stranieri iscritti alle liste di collocamento.

Ovviamente un visto viene rilasciato nel caso si entri nel territorio mediante le vie legali, per motivi di studio o di lavoro, e se i motivi sono di lavoro devono essere espressi nella richiesta d’ingresso, mediante apposita dichiarazione del datore di lavoro.

A parte alcune particolari eccezioni, ad esempio la coesione familiare, considerato un diritto costituzionale e soggettivo, non vi è alcun diritto da parte del cittadino straniero all’ottenimento del visto. Al cittadino straniero è riconosciuto tutt’al più un interesse legittimo.

È per questo che il possesso del visto non garantisce l’ingresso automatico in Italia o nello spazio Schengen del cittadino straniero, che potrà sempre essere respinto dalle autorità di frontiera.

Non mi dilungo ulteriormente in speculazioni che riguardano l’interpretazione e la messa in pratica di una così sensibile norma di legge, invitando il lettore più curioso e scettico, e che volesse operare ulteriori verifiche, a controllare il sito della Polizia di Stato:

 http://www.poliziadistato.it/articolo/225-Il_rilascio_del_permesso_di_soggiorno/

Non vi posso negare che mi sono molto arrabbiata.

Mi sono arrabbiata perché ho visto sminuito il lettore, considerando anche me nella mischia che, seppur non leggo assiduamente il quotidiano in questione, mi sono trovata alle prese con l’articolo suddetto e mi sono sentita considerata alla stregua di una babbea incompetente e acritica.

Mi sono molto arrabbiata perché ho visto sminuito il lavoro e le competenze dell’Istituzione della Polizia di Stato chiamata a mettere in pratica leggi che, dalla sola interpretazione, richiederebbero competenze e mezzi di gran lunga superiori. Mi sono molto arrabbiata perché troppo faziosamente è stata sminuita una realtà sociale che è, invece, un disagio. Un disagio che parte dalla stessa messa in critica dell’operazione Mare Nostrum, delle motivazioni che vi stanno alla base e dei suoi perché, facendo piuttosto passare il lavoro e la fatica di richiedenti e rilascianti come mansioni routinarie e di blanda competenza.

Mi sono molto arrabbiata perché tanti, rei di non esser stati abituati a fare critica rispetto quelle che consideriamo istituzioni e prassi consolidate, condividono sui social network faziosità del genere invece che rettificarne le indolenze.

Ma non sono tutti mugugni quelli che si levano dall’articolo in questione, alla fine, infatti, il collega lancia una proposta che pare abbastanza giusta e giustificabile: egli propone l’utilizzo della tessera sanitaria regionale alla stregua di una autorizzazione di attraversamento delle frontiere che, una volta avvenuto, in direzione del proprio paese di origine, bloccherebbe l’erogazione dei servizi assistenziali garantiti dallo Stato sociale italiano e che si collegherebbe direttamente ai data base dell’Inps, evitando ulteriori e diluiti controlli. Altra ipotesi riguarda il ritiro in contanti dell’assegno sociale erogato, in modo da poter controllare l’effettiva territorialità fisica di chi ne usufruisce o, infine, stilare un vademecum di controlli per gli uffici, in modo da sottrarre l’iniziativa al libero arbitrio dei funzionari e facilitare l’accesso alle (poche) banche dati esistenti.

Proposte a parte e ideologie a parte sarebbe cosa ben lieta se ci raccontassero, quantomeno, la verità rispetto le leggi da applicare e l’attività delle Istituzioni preposte al loro adempimento.

Rendeteci edotti e non corrotti.

Rendeteci coscienti per non essere succubi.

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