A processo per abbandono di minore, la mamma di ‘Vittorio Fortunato’: le deposizioni dei primi testi in aula

E’iniziato con le prime testimonianze della lista della pubblica accusa, il processo che vede imputata per abbandono di minore, la madre naturale del piccolo a cui venne dato il nome di Vittorio Fortunato. Il padre naturale ne simulò abbandono e ritrovamento. Era il 4 novembre del 2020. Accadde a Ragusa. Come si ricorderà, il piccolo è attualmente al centro di una contesa legale. La Suprema corte ha infatti riscontrato l’irregolarità procedurale commessa dal Tribunale dei minorenni di Catania che riconoscendo la preadottabilità del neonato, avrebbe di fatto privato del diritto di ravvedimento i due genitori naturali, in particolare la madre che rivuole suo figlio. A seguito del pronunciamento della Cassazione, il Tribunale dei minorenni ha sentenziato il ritorno del piccolo che ora ha tre anni e mezzo, dalla madre, che dovrà avvenire con un percorso graduale di passaggio tra la famiglia adottiva e quella naturale, decisione contro la quale hanno promosso appello la tutrice del minore e la famiglia adottiva che sta crescendo quel bambino da quando è nato. 
Come se la vicenda non fosse già di per sé complicata, il padre naturale (che non aveva ancora riconosciuto il bambino), che in primo grado è stato già condannato con rito abbreviato a due anni di reclusione, è deceduto improvvisamente nella notte tra il 2 e 3 giugno scorso. La donna oggi a processo, è imputata anche in un’altra vicenda; ex postina, avrebbe, secondo la tesi accusatoria, soppresso della corrispondenza abbandonandola in alcuni sacchi a giugno del 2021. 
Torniamo al processo per abbandono di minore. L’udienza si è tenuta il 19 giugno al Tribunale di Ragusa davanti al giudice monocratico. La narrazione di questi anni, riportava il fatto che la madre naturale non sapesse di essere incinta e partorì in casa. Al momento del parto chiamò l’uomo con il quale aveva già una figlia per chiedergli aiuto. Lui inscenò abbandono ritrovamento del neonato. Il bimbo venne affidato a una coppia di fuori provincia; dopo il termine di “ravvedimento” la donna iniziò la sua battaglia per riottenere il figlio.


L’udienza. 

Con i primi testi del pubblico ministero (in aula il procuratore capo facente funzioni, Marco Rota) è stato ricostruito proprio il momento in cui vennero chiamati i soccorsi per il bambino che in un primo momento parve abbandonato davanti all’esercizio commerciale di quello che si scoprirà essere il padre naturale, lo stesso che chiamò delle amiche per ricevere aiuto. 
La prima a testimoniare è stata la commissario capo della Polizia di Stato, vice dirigente della Squadra mobile e funzionaria reperibile nella serata del 4 novembre del 2020. Allertata e arrivata sul posto – il bambino era stato già soccorso e trasferito in ospedale – iniziarono subito le prime attività, riferisce in aula; sul posto c’era ancora l’uomo che sosteneva di averlo trovato. Poi vennero sentite le persone a sommarie informazioni ma qualcosa iniziava a non quadrare. D’intesa con il pubblico ministero di turno, vennero acquisite le prime informazioni testimoniali, e avviata l’attività tecnica con le intercettazioni delle persone che sembravano coinvolte. Il 13 novembre, 9 giorni dopo il ritrovamento del bambino, il padre naturale ricevette una telefonata dalla donna, dalla quale il commissario capo sostiene emergessero i primi elementi investigativi importanti e rilevanti: stando alla testimonianza della funzionaria,  la donna era preoccupata, e dalle intercettazioni, risulterebbe che l’uomo in sostanza le disse di non preoccuparsi perché non c’erano le impronte di lei da nessuna parte, ma quelle delle altre due donne che lo avevano aiutato a ‘soccorrere’ il bimbo e che quindi non sarebbero risaliti a lei. Ci sarà anche un’altra telefonata che è stata oggetto di perizia, stavolta dall’uomo alla donna, del cui contenuto però non è stata fatta chiara menzione. La commissario capo si sarebbe poi occupata di sentire a sommarie informazioni le due donne intervenute nel soccorso e, successivamente anche la madre e il padre naturale. Dal punto di vista investigativo vennero acquisiti anche i tabulati ed è stato verificato che la cella telefonica collocava il padre naturale a casa della madre, quella sera, prima della simulazione dei fatti. Dalle domande della parte civile – l’avvocato Emilio Cintolo, difensore della tutrice – emergerebbe dalle indagini svolte, anche un accesso al consultorio a settembre del 2020, stesso cognome, ma nome forse trascritto male, segno che la donna sapeva di aspettare un bambino. Depositata anche la nota di Poste italiane con i periodi di congedo della donna che comunque era madre anche di un’altra bimba piccola, figlia dello stesso uomo, si è poi passati alla testimonianza dell’agente in servizio alle volanti che arrivò sul posto, intorno alle 20,40, dove era stato segnalato il rinvenimento del neonato, abbandonato in una busta di plastica. Sul posto, secondo quanto riferisce l’agente, c’erano due donne all’interno di una autovettura, il bambino era vivo, in braccio a una delle due donne. L’ambulanza arrivò subito e portò il piccolo, sporco di sangue e con il cordone ombelicale non clampato, all’ospedale. All’esterno della macchina c’era l’uomo che sosteneva di averlo trovato; diceva di essere passato a controllare il suo esercizio commerciale perché capitava che lasciassero della spazzatura. In quel frangente aveva visto la busta di plastica e all’interno c’era il bambino. 

La ragazza che prese in braccio il piccolo

È stata sentita poi la ragazza che stava tenendo il bimbo in braccio all’arrivo della volante. Sua madre era stata chiamata dal commerciante che chiedeva aiuto riferendole di avere trovato un neonato. Coinvolta dalla mamma, la ragazza era arrivata sul posto con la madre e aveva trovato l’uomo all’interno della macchina, con un sacchetto di plastica sul sedile passeggero e il bambino avvolto in due copertine. La macchina era riscaldata. Lei allora aveva preso il neonato dal sacchetto, aveva visto che era un maschietto e che aveva ancora il cordone ombelicale attaccato; lo ha avvolto meglio nelle copertine, stringendolo a sé, mentre la madre chiamava l’ambulanza. Intanto l’uomo diceva che aveva sentito dei lamenti provenire dal sacchetto e pensava fosse qualche cucciolo di animale. Solo quando uscì la notizia che poteva essere lui il padre – sempre per quanto riferisce la ragazza -, l’uomo che lei considerava come una persona di famiglia, le aveva raccontato che l’imputata gli aveva detto di andare subito a Modica. Lui aveva pensato che fosse successo qualcosa alla loro figlia ma quando è arrivato, l’imputata gli avrebbe consegnato il sacchetto con il bambino dicendogli “fai quello che vuoi e gli ha chiuso la porta in faccia”. Lui poi avrebbe detto alla ragazza, che si era diretto verso l’ospedale di Modica ma aveva visto delle luci blu e si era fatto prendere dal panico. Solo successivamente, dopo il test del dna che accertò la paternità del piccolo, disse che ne aveva dubitato di essere il padre perché con la donna non aveva rapporti da tempo. 
La ex collega delle Poste

L’ultima testimonianza dell’udienza è stata quella di una collega di lavoro dell’imputata, quella che aveva la postazione accanto alla sua alle Poste. A luglio del 2020, aveva notato un gonfiore concentrato sul ventre della donna e le aveva chiesto se era incinta. Ma lei aveva negato imputando il ‘gonfiore’ alla ritenzione idrica; secondo quanto testimoniato in aula, la collega dice che l’imputata vestiva abiti larghi e teneva una borsa davanti ma non si risparmiava al lavoro, “si caricava le cassette della posta e faceva, al lavoro, tutto ciò che doveva fare”. La collega comunque preoccupata si era anche offerta di accompagnarla a fare un controllo chiedendo il permesso anche al suo superiore. Poi un giorno le disse “ti sei sgonfiata” e lei rispose che “le pillole avevano fatto effetto”. La collega dice anche che dei conoscenti le telefonarono per raccontarle che l’uomo (il commerciante con cui sapeva che la madre naturale aveva o aveva avuto una relazione) era stato convocato in questura. Chiamò direttamente la donna che le disse che era una montatura e che lo stavano incastrando. A fatti noti, sempre secondo la testimonianza della collega di lavoro, l’imputata in ufficio scoppiò a piangere e ammise che il bimbo era suo e che avevano scoperto tutto, che si sarebbe saputa la verità; la donna le avrebbe detto che i suoi erano in questura e che poteva cercarsi una baby sitter perché sua madre non avrebbe tenuto più la bambina, figlia dello stesso padre. “Perché non me lo hai detto? Avrei potuto aiutarti invece di arrivare a questo punto, le dissi,  ma non rispose, piangeva soltanto”. ha detto la collega di lavoro, concludendo la sua testimonianza. Sentito il perito che ha operato sulle due intercettazioni di cui si è parlato in udienza, e che ha chiarito le modalità del suo intervento, al fascicolo del processo sono state acquisite le sommarie informazioni rese dal commerciante, deceduto da qualche giorno, gli accertamenti biologici sulla paternità del bambino, con riserva delle parti di produzione documentale. La prossima udienza per sentire altri testi della pubblica accusa e della parte civile, per una singolare coincidenza è stata fissata a novembre, il giorno del quarto compleanno di Vittorio Fortunato. Poi sarà la volta dei testi a difesa. 

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