Abitiamo nel paese del Sole, però è meglio non vantarsene

A Palermo si discute la possibilità di togliere l’acqua a rotazione in ogni quartiere per 24 ore, la stessa misura adottata in aprile a Bogotà. La capitale della Colombia, 8 milioni di abitanti, è situata su un altipiano nella cordigliera delle Ande. Di solito è una città grigia, fredda e piovosa, tuttavia da gennaio gli sporadici acquazzoni non bastano a riempire i bacini idrici che forniscono acqua potabile alla metropoli.
Mentre i nostri laghi naturali e artificiali tendono a scomparire, nelle scorse settimane, nello stato di Chihuahua (Messico del Nord) migliaia di pesci sono morti asfissiati a causa dell’abbassamento del livello delle acque in un lago, particolarmente colpito dalla siccità in corso da mesi nel Paese.
La mancanza di acqua ormai è un fenomeno esteso a diverse latitudini. Qualcuno noterà che mentre il capoluogo isolano è geograficamente lontano dalle zone notoriamente più calde del pianeta, il Chihuahua è nel Tropico del Cancro, la metropoli sudamericana è in zona Equatore. In questo periodo a Bogotà dovrebbe piovere una settimana al mese. Nonostante sia a 2.600 metri di altezza sul livello del mare, oggi è prevista una temperatura compresa tra gli 11 e i 19 gradi.
Molti palermitani in questo momento non ricordano la data dell’ultima pioggia alla quale hanno assistito, un altro segnale sul cambiamento climatico, ormai sotto gli occhi di tutti.

Quest’estate nelle regioni del Nord Italia non si parla di siccità. Le grandi piogge di maggio e giugno – con annessi disastri – e lo scioglimento delle nevi accumulate fino alla tarda primavera hanno ingrossato fiumi e riempito falde acquifere. Ma l’anno prossimo? Non essendo Irlanda o Scozia, luoghi nei quali la pioggia è assicurata lungo tutto l’anno,  l’incognita è notevole, basta pensare alle risaie asciutte del vercellese nell’estate passata. Da noi, intanto, a fine luglio è iniziata la vendemmia, mai così precoce.

Di fronte a questi scenari, si trovano più correttivi che soluzioni a lungo termine. Le navi cisterne e i tanti camion con serbatoio circolanti in queste settimane nella nostra Isola sempre più assetata sono solo tamponi: anche le falde degli speculatori prima o poi si esauriranno.
Il ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, l’altro ieri ha detto: “Abbiamo elaborato un programma di infrastrutture, circa 500 interventi per un piano in 10 anni, dalla sola Regione Siciliana sono arrivate 52 proposte, dovremo fare i conti con le risorse finanziarie, ma il primo passo bisogna compierlo.” Musumeci non aggiunge autocritiche per quanto non è riuscito a fare nei cinque anni in cui ha ricoperto la carica di presidente della Regione Siciliana. Come lui, gran parte dei politici che oggi straparlano sul tema.


Il solito invito dei sindaci di cambiare le nostre abitudini domestiche non basta, occorre rifare subito le reti idriche che perdono un litro su due, come spesso accade nel ragusano. Da noi, se continuerà a non piovere, l’invaso di Santa Rosalia tra un anno sarà asciutto. A proposito: per le opere utili all’approvvigionamento idrico, negli ultimi 17 anni in Sicilia sono stati spesi 3 miliardi e mezzo di euro. I risultati non sono esaltanti. Ci sono province che soffrono da sempre, come Agrigento e Caltanissetta.
Intanto l’Associazione nazionale delle bonifiche e delle irrigazioni ha appena annunciato che fra tre settimane non ci sarà più acqua per le attività agricole, bestiame compreso.   

In questo vitale argomento nessuno è in grado di inventare chissà quali novità. A volte, le nuove abitazioni messe sul mercato prevedono la raccolta di acqua piovana da potere riutilizzare in attività condominiali o per uso potabile dopo trattamento. Si tratta di realizzazioni non ancora obbligatorie, però lo diventeranno in futuro, nell’ambito del programma “Case green” in Unione Europea.
I lettori di una certa età ricorderanno l’esistenza delle cosiddette “sterne” nelle case di campagna di nonni e genitori. Ce n’erano almeno due, una esterna e una interna, nelle quali erano convogliate le acque piovane battenti il perimetro di quelle abitazioni costruite per resistere al millenario caldo siciliano, mitigato senza la presenza di climatizzatori. Un’usanza persa nel nome di un progresso che ha privilegiato la costruzione di palazzi condominiali dai muri sottili poco più di lastre d’alluminio. I nostri avi, senza lauree, ricorsi all’Intelligenza artificiale e molto più ambientalisti di noi contemporanei, avevano capito tutto in tempi nei quali il cambiamento climatico non era nemmeno contemplato.   

I fautori del Ponte sullo Stretto sostengono, tra l’altro, che le continue eruzioni dell’Etna dimostrerebbero il valore dell’opera, così da non sottostare alle attività naturali di un vulcano geologicamente giovane.
Ma a parità di risorse e in un momento che sarà ricordato nei libri di storia,  è meglio costruire infrastrutture per raccogliere e non disperdere nemmeno un litro d’acqua. Turisti e no, chi attraverserebbe tre chilometri di mare per soffrire la sete?
La siccità sarà il nostro problema chissà per quanto tempo ancora, nella speranza che nell’estate del 2124, leggendo questa rubrica qualcuno faccia una bella risata sui nostri dubbi e le nostre paure.

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