ALTRO CHE ART. 18 … QUA’ SUCCEDE UN 48!

So di rischiare un pò di essere noioso, già giovedì scorso abbiamo parlato della riforma dell’art. 18, l’avv. Assenza lunedì ha illustrato ampiamente ed esaustivamente le problematiche giuridiche, ma la pregnanza dell’argomento e alcuni fatti succedutisi in questa settimana mi inducono a tornare sull’argomento.

Il ministro Fornero aveva dichiarato nella conferenza stampa di presentazione del provvedimento che le garanzie delle nuove norme sui licenziamenti si sarebbero estese a tutti i lavoratori anche di aziende con meno di 15 dipendenti; mi era sembrata (almeno questa) una buona notizia, salvo poi scoprire che:

a) per quanto riguarda i licenziamenti discriminatori la notizia risulta assolutamente inesatta in quanto (come hanno fatto notare ben 51 giuslavoristi) la legge 108/1990 all’art. 3 già estendeva questa garanzia (cfr testo in calce);

b) mi ero allora fatto l’idea che l’estensione valesse per gli altri casi (licenziamenti per motivi disciplinari o economici) ebbene nel provvedimento licenziato dal Consiglio dei Ministri  a pag 10 si legge “Va precisato subito, peraltro, che di tale regime rimane immutato il campo di applicazione, che comprende, di massima e fatte salve situazioni particolari come quelle delle organizzazioni cd. di tendenza, i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, aventi più di 15 dipendenti nell’ambito comunale, o più di 60 nell’ambito nazionale. “

 La domanda sorge spontanea:posto che risulta inverosimile che dei “tecnici” del valore di quelli che sono al governo non possono ignorare la legislazione vigente che bisogno c’era di millantare una estensione che non c’è?

Il ministro Fornero evidentemente sentiva l’esigenza di “indorare la pillola” sapendo che la medicina era più “amara” del tollerabile!

A ulteriore conferma risulta molto debole la difesa del provvedimento fatta da tutto il governo (non ultimo Catricalà persona normalmente molto competente e convincente) che si accanisce a definire “elasticità in uscita” un provvedimento che di fatto impedisce di porre rimedio a un’ingiustizia (licenziamento senza giusta causa) ma semplicemente la sanziona e per giunta con un “tetto massimo” precostituito e privo di deterrenza.

Un altro avvenimento che mi ha indotto a tornare sull’argomento è l’atteggiamento di Monti che, dopo avere sminuito il ruolo del confronto con le parti sociali asserendo che l’unico interlocutore è il Parlamento, rilascia una dichiarazione da Seul in cui di fatto mette in mora il Parlamento stesso lasciando intendere che sarebbe pronto alle dimissioni se viene modificata la riforma del lavoro.

Ma come, ha fatto marcia indietro con i tassisti, e con i notai, si è rimangiata la libera vendita dei farmaci di fascia “C”, e poi “diventa permaloso” quando i lavoratori difendono un diritto sacrosanto (riconosciuto perfino da quel neo-comunista di Mons. Bregantini, Presidente della Commissione Lavoro della Conferenza Episcopale Italiana).

L’uscita di Monti conferma ulteriormente l’opinione che avevo espresso il 9 febbraio scorso e cioè che questo Governo “ruggisce” con i lavoratori e i pensionati e “miagola” con i notai e i farmacisti!

E che dire dell’atteggiamento dei segretari generali di CISL e UIL che incalzati (con la minaccia di sconfessarli) dai loro iscritti hanno prontamente cambiato posizione richiedendo al Parlamento di apportare miglioramenti al testo licenziato dal Governo … La verità è che quando è troppo è troppo, i lavoratori iscritti ai principali sindacati italiani da anni assistono ad aperture di credito nei confronti di atti di governo che si rivelano delle solenni “fregature” (vedi il famoso Patto per l’Italia del 2002), e si sono stancati di rimetterci in tutele, garanzie e diritti a fronte di presunti e mai visti miglioramenti delle condizioni generali.

Le prospettive per i giovani si creano aumentando gli investimenti in scuola, ricerca e innovazione, non agevolando l’ espulsione dal circuito lavorativo dei sessantenni dopo avergli allontanato di ulteriori 4/5 anni l’accesso alla pensione; questo governo invece di avallare in toto i tagli della Gelmini come ha fatto finora percorra strade nuove e prenda esempio da Paesi europei che investono realmente sui giovani e sulla loro creatività non fornendogli come unica prospettiva quella di sostituire i loro genitori nei “vecchi” lavori per poi doverli mantenere fino alla pensione!                                                                                                                                

                               Art. 3.

                    Licenziamento discriminatorio

  1. Il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie ai sensi

dell’articolo 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604,  e  dell’articolo

15  della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo

13 della legge 9 dicembre 1977, n. 903,  e’  nullo  indipendentemente

dalla  motivazione  addotta  e  comporta, quale che sia il numero dei

dipendenti occupati dal datore di  lavoro,  le  conseguenze  previste

dall’articolo  18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato

dalla  presente  legge.  Tali  disposizioni  si  applicano  anche  ai

dirigenti.