L’analfabetismo digitale in Italia, l’incapacità delle persone di utilizzare le nuove tecnologie, è uno dei fenomeni principali che causano un’arretratezza culturale, frenando la crescita economica del Paese e contribuendo alla diffusione di fake news.
Secondo un recente studio dell’OCSE, che ha preso in analisi 29 Paesi dell’Unione Europea e non, l’Italia ha raccolto il terzo peggior risultato tra i paesi esaminati (Skills Outlook 2019). Solo il 21% degli italiani infatti, risulta possedere un livello di alfabetizzazione digitale ritenuto sufficiente e questo, oltre alle oggettive limitazioni nel mondo del lavoro globalizzato, si traduce in un’arretratezza digitale diffusa.
Secondo i massimi esperti del settore, l’analfabetismo digitale italiano è causato principalmente da quello che viene definito come analfabetismo funzionale (l’incapacità, anche e soprattutto a causa dell’età avanzata, di usare calcoli, lettura e scrittura nella vita quotidiana di ogni giorno). Se da un lato l’età media del nostro Paese non aiuta di certo la digitalizzazione, ci sono altri fenomeni che causano la nostra arretratezza digitale.
Basti pensare alla mancanza di condizioni strutturali efficienti e alla diffusione ancora limitata della banda larga, così come della fibra ottica (solo un terzo delle famiglie italiane è coperta da fibra fino a 100mbps). Anche a livello di connessioni internet per i nostri smartphone non siamo messi bene (la copertura del paese dalla rete 5G è ferma al 8% del nostro territorio), nonostante siano i dispositivi digitali più importanti che portiamo con noi e usiamo praticamente per qualsiasi lavoro: dai social fino alle chat, dalle app di lavoro e per la produttività fino al gaming.
Inoltre, si riscontrano ancora notevoli differenze tra famiglie con figli e senza figli (quest’ultime svantaggiate nel rapporto) e tra le piccole e medie imprese, ancorate ad un’idea arcaica del commercio, e le grandi aziende capaci di sfruttare le potenzialità di internet. Come per tutte le cose, anche per la digitalizzazione, molto dipende dalla volontà di ognuno di noi: i singoli cittadini devono investire tempo per imparare a usare nuove tecnologie, così come le aziende devono investire sulla formazione dei propri dipendenti (dove per ora solo 15% delle imprese investe).
È dunque auspicabile, per il nostro bel Paese, iniziare ad intraprendere un percorso utile ad una maggiore conoscenza e mitigazione dell’analfabetismo digitale attraverso una maggiore e profonda digitalizzazione scolastica in primis. Solo grazie all’apprendimento fin da giovani si potranno generare adulti capaci di stare al passo delle continue ricerche e invenzioni tecnologiche in questa era, ma non solo. Accanto ad un lavoro strutturale e di prospettiva da compiere a livello scolastico, così come con percorsi di studio universitari, le aziende, private e pubbliche, dovrebbero prevedere dei percorsi di formazione dei propri dipendenti. Così come sarebbe utile prevedere corsi di alfabetizzazione digitale anche alle persone disoccupate, per garantire una maggiore opportunità di ingresso nel mercato del lavoro, e agli anziani, che invece rischiano di rimanere esclusi a livello burocratico, culturale e, ancora peggio, sociale.