E’ difficile per noi occidentali, chiusi nel tepore delle nostre tiepide case, comprendere fino in fondo un momento così drammatico per l’Ucraina. Una nazione lontana da noi per posizione geografica, per cultura, per formazione cultura.
Eppure, c’è qualcosa di epico e di tragico in ciò che sta vivendo il Paese. Al netto delle vite umane spezzate, al netto degli innocenti che si trovano coinvolti loro malgrado in una guerra per dettare di nuovo le sfere d’influenza mondiale, non si può non provare ammirazione per il coraggio e la determinazione che questo popolo sta dimostrando nel momento forse più difficile della sua storia contemporanea.
Hanno sfidato la Russia come William Wallace l’Inghilterra i soldati posti sull’Isola dei Serpenti, nel Mar Nero. Hanno sacrificato le loro vite pur di non arrendersi al nemico. All’insegna del «potete prendervi la nostre vite, ma non la nostra libertà». E ora sono gli eroi a cui si aggrappa l’Ucraina.
Quelli che come ha promesso il presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy «riceveranno una medaglia postuma». Sono le tredici guardie di frontiera dell’Isola dei Serpenti che non si arrendono di fronte all’artiglieria della nave da guerra russa.
C’è un audio in cui si sente la voce di un ufficiale russo: «Questa è una nave da guerra militare. Questa è una nave da guerra militare russa. Vi suggerisco di deporre le armi e di arrendervi per evitare spargimenti di sangue e perdite inutili. Altrimenti verrete bombardato».
Poi, il silenzio e la risposta: «Nave da guerra russa, vai a farti fottere». E, infine, il rumore delle bombe. Ma tra di loro c’è anche il geniere Vitaliy che da solo va a far saltare un ponte strategico, e partendo dà l’addio ai compagni.
Quella dell’Isola dei Serpenti è una resistenza impossibile diventata simbolo di un intero Paese: tredici soldati di guardia a questo lembo di territorio nel mar Nero, poche centinaia di metri di prati e un faro a 45 chilometri dalla costa della Romania, strategico per le vie marittime verso Odessa e verso i Balcani.
Un avamposto che ha sempre avuto la sua importanza (se l’erano già contesa russi e turchi a fine Settecento in quella che prese il nome di battaglia di Fidonisi), tanto che nell’agosto scorso Zelenskiy era venuto sull’isola a garantire: «Come il resto del nostro territorio, questa è terra ucraina, e la difenderemo con tutte le nostre forze».
E ora c’è il presidente Zelensky che si fa vedere dal suo popolo, in tuta mimetica, dicendo che praticamente il suo destino è segnato. E’ lui il vero obiettivo di Putin. E’ la solitudine degli uomini lasciati soli a combattere in uno scacchiere internazionale per molti incomprensibile, soprattutto per noi che viviamo lontani dalle guerre ormai da molti anni. Ma per loro è “gloria”, una parola ormai desueta e che nessuno comprende. Gli Stati Uniti hanno garantito a Zelensky salva la vita, offrendogli protezione. Ma lui è rimasto al suo posto, a combattere o almeno a far si che il popolo si identifichi in lui. E’ un atto di coraggio estremo, che non si può non ammirare, al netto delle simpatie o antipatie. L’Ucraina è probabilmente condannata. Ma questo popolo, ha dimostrato orgoglio come ormai non se ne vedeva da decenni. E sono soli.