“AVEVO VENT’ANNI… NON PERMETTERÒ A NESSUNO DI DIRE CHE QUESTA È LA PIÙ BELLA ETÀ DELLA VITA”.

Una frase che accompagna ogni generazione. I 20 anni di Nizan cadevano nel 1925 : era finita la grande guerra, la guerra più terribile che il mondo abbia conosciuto; per i giovani il futuro era vivere una normalità fatta di lavoro, famiglia e, nel sud, la terra da lavorare, quella terra promessa e data in uso come compensa per  essere andati a morire per la liberazione di Trento e Trieste.
Ma non ci fu il tempo per una nuova generazione: le contraddizioni non risolte della prima guerra mondiale generarono qualcosa di ancora più mostruoso, cancellando e spazzando via tanti nuovi “20 anni”.
Poi, la ricostruzione, il progetto del lavoro possibile anche se si doveva emigrare al nord, verso le fabbriche. E la possibilità dello studio, del riscatto sociale, del posto fisso, dell’impiego. Quei ” 20 anni” erano pieni di speranza e di certezze, certezze che si sono andate sfaldando per nuove insoddisfazioni, per nuovi disagi.
Si parlò di “gioventù bruciata”, di generazione maledetta, di figli della protesta, di “68”. Tanti “20 anni” si consumarono nelle illusioni delle lotte politiche, nei gruppi extraparlamentari, nelle Comuni,  nella fuga nella droga. Fu una generazione di sofferte contraddizioni, di scelte estreme, che sicuramente trovava nella rabbia e nella ribellione la linfa per potere essere. Furono gli anni della contestazione per  una generazione che  però sapeva lottare, che vedeva un futuro: lo studio, i mille lavoretti per avere autonomia,  l’università per un titolo che avrebbe dato la possibilità di fare quello che  da sempre si era desiderato, tante porte aperte. Poi, sotto aspetti diversi, la storia si ripete.
Oggi  avere 20 anni significa vivere  in una  società che non riesce più ad alimentare sogni, che fa dell’incertezza la sua costanza, che ruba il futuro alla parte migliore di sé. Una società che ha appiattito istanze e bisogni, che crea sempre nuovi bisogni e spegne creatività e fantasia, che omologa secondo standard e i diktat di un nuovo imperialismo e di un neoliberismo finanziario che falcidia economie ed esistenze.
A quest’età, commenta l’editorialista Armando Torno, si hanno tutti i problemi davanti agli occhi. I sogni sono diventati flessibili, come il lavoro, i governi, le certezze, i punti di riferimento sociali. Ma è pur sempre il momento in cui le sfide non fanno paura e i sogni si lasciano trasformare meglio in realtà.