Chi visita il Castello di Donnafugata, qui negli Iblei, rimane stupito dalla bellezza di quanto vi si trova esposto: candelabri di cristallo, mobili d’arte, armature, strumenti musicali. E il pensiero corre alle dinastie nobiliari che hanno arredato quel fortilizio di campagna, senza contare che quanto si trova lì realizzato è risultato della genialità di anonimi artigiani.
Sono gli artigiani che da sempre hanno custodito il patrimonio di scoperte fatte dall’uomo nel corso dei millenni; coloro che avevano capacità creativa e abilità per realizzarle.
Oggi, di questi arti-giani, o arti-geni, per scomodare le etimologie, si è perduta la memoria. Dimentichiamo che Leonardo da Vinci, genio assoluto dell’umanità, si è formato in una bottega artigiana, quella di Andrea del Verrocchio, vera fucina di idee, dove si scolpivano e si fondevano statue, si realizzavano pale e quadri di altare. Lì, con la forza della mente e l’abilità delle mani si risolvevano tutti i problemi di una committenza esigente. Ma, artigiano era ancora Benvenuto Cellini, orafo e scultore, che fuse, con le sue mani e nella sua bottega, il Pérseo. E botteghe artigiane erano quelle dei ceramisti e vasai greci, dei decoratori di vasi che oggi sono vanto e patrimonio dell’umanità, fra le cose più belle che siano mai state realizzate dall’uomo.
Più vicini ai nostri tempi, il pensiero va al carro siciliano, struttura sulla quale riposa una millenaria esperienza artigianale; si pensi alla bellezza dei ferri battuti a mano, alle sculture, torniture, decorazioni, all’arte del mastro carradore.
Oggi l’artigianato è scomparso. Di quella memoria sono rimasti i reperti, sorta di cadaveri che noi mummifichiamo nei musei. Difatti, l’anima di quel reperto è volata via; non c’è più, né può essere riportata in vita. Ma la società odierna dovrebbe riconoscere i meriti dell’artigiano, che dalla notte dei tempi ha rappresentato intelligenza e memoria dell’umanità. Si potrebbe pensare di dedicargli una statua, almeno, così come si è fatto per il milite ignoto, morto in battaglia per la gloria di generali e sovrani.
I Giapponesi hanno avvertito quello che stavano perdendo, hanno inventariato gli ultimi artigiani viventi, li hanno considerati beni dell’umanità, custodi della memoria collettiva che non può essere conservata nei libri o nei musei, e li hanno insigniti del titolo di Tesori viventi. Il loro compito è ora quello di lavorare per creare un ponte fra passato e futuro, per insegnare l’arte e i suoi segreti a degli apprendisti, che a loro volta la tramanderanno ad altri. Un passato che vive. Un debito di riconoscenza che quel popolo sente di avere nei confronti dell’artigiano.