Cultura

C’era una volta a…Hollywood. Tarantino e la fine dell’età dell’innocenza

Quando un grande regista decide di tornare sul grande schermo e di proporre un nuovo lavoro, l’attesa è sacrosanta e innegabile. Per tutti gli appassionati cinefili, quest’anno, l’evento non è stato lo pseudo docu-film di Chiara Ferragni, piuttosto il nuovo film di Quentin Tarantino: “C’era una volta a…Hollywood”. Due ore e mezza di film che ripercorrono la stagione dell’età dell’oro di Hollywood prima del tragico evento di Cielo Drive e dell’omicidio di Sharon Tate. Prima che, insomma, la Manson Family entrasse prepotentemente nella storia effettuando quello sciagurato e gratuito omicidio.

Tarantino omaggia il cinema che tanto ama: gli spaghetti-western all’italiana, i cine-movie cosiddetti di “serie B”, le serie televisive americane degli anni ’50. Seguendo due giornate lavorative di un attore di film western in netto declino e alcolizzato, Rick Dalton (Leonardo Di Caprio), e della sua controfigura Cliff Booth (Brad Pitt), Tarantino omaggia non solo il cinema americano che lui ama, ma anche un’età che sembrava non dovesse finire mai, almeno fino all’arrivo prepotente sulla scena della Manson Family.

Molti si aspettavano quel tipico “tocco alla Tarantino”, ovvero una particolare inclinazione allo splatter e alla violenza. Tutto questo manca in C’era una volta a…Hollywood ma in compenso c’è un messaggio tipico del cinema di Tarantino: la capacità di cambiare la realtà. Così come in “Bastardi senza gloria” e in “Django Unchained”, la realtà può essere cambiata nei finali dei suoi film. Per Tarantino possono essere sconfitti i nazisti e la schiavitù, così come può non avvenire l’omicidio di Sharon Tate e dei suoi amici e la Manson Family può non cambiare il corso degli eventi e dello stesso cinema.

Un film che sembra una dichiarazione d’amore per il cinema, per i film di un certo tipo, con omaggi a Steve McQueen e ai grandi attori degli anni ’50 e un cast di attori vasto e variegato. In particolare, un Brad Pitt in stato di grazia, fedele controfigura di un Leonardo Di Caprio più istrionico che mai, capace ancora fra un bicchiere e l’altro di stupire con le sue doti d’attore.
Rimane un film-testamento, capace di intrattenere, lontano dalla “violenza” tipica di Tarantino ma che va visto senza ombra di dubbio, soprattutto per gli appassionati della filmografia di questo grande regista.