COMBATTERE REFLUSSO E ACIDITÀ GASTRICA SENZA FARMACI.

In un precedente articolo ho parlato dell’alimentazione da adottare in presenza di acidità gastrica, pirosi e malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) – http://www.ragusaoggi.it/55850/reflusso-gastroesofageo-e-acidit-gastrica-il-ruolo-dell-alimentazione, e torno oggi sull’argomento per fare ulteriore chiarezza.

 

In presenza di reflusso gastroesofageo occasionale, uno degli errori più comuni è quello di utilizzare una sostanza alcalina contro la condizione di iperacidità, perché si pensa istintivamente che l’uso di un tampone alcalino possa contrastare un pH troppo acido. Tradotto, si assume il classico bicchiere di acqua e bicarbonato di sodio. Si tratta, però, di un’abitudine non solo insensata, ma anche molto pericolosa, che non fa che inasprire il disturbo e, se ripetuta, può favorire l’evoluzione verso forme ulcerative patologiche.

 

I processi biochimici che avvengono nell’organismo umano, infatti, non sono paragonabili a quelli osservati in una provetta di laboratorio: quando il pH dello stomaco viene violentemente portato da 2 a 7, la prima conseguenza è un forte stimolo alla peristalsi, seguita da rapido svuotamento gastrico e conseguente – ma illusorio – sollievo di acidità e bruciore. La condizione interna dell’ambiente gastrico, però, quando diventa alcalina non è più fisiologica, e quindi le cellule deputate alla produzione di acido cloridrico si attivano ancor più del necessario, e ricreano, peggiorandola, la condizione di partenza.

 

Una soluzione migliore, invece, è quella di assumere una piccola quantità di un alimento molto acido e privo di zuccheri. La scelta di un frutto crudo, da molti ritenuta appropriata, è quanto di peggio si possa fare, poiché l’acqua e il fruttosio in esso contenuti favorirebbero, in ambiente acido, l’immediata fermentazione, e quindi gonfiore gastrico e aumento del dolore. Il succo di limone o di pompelmo puro, invece, nella quantità di due-tre cucchiai, è sufficiente per aumentare l’acidità dello stomaco quel tanto da provocarne la contrazione con svuotamento verso il duodeno, dove i bicarbonati pancreatici possono provvedere a tamponare efficacemente il pH, senza attivare in modo improprio le cellule acido cloridrico-secernenti. Anche un cucchiaino di yogurt bianco intero (senza zucchero aggiunto!) può indurre lo stesso effetto.

 

In altri casi, soprattutto quando il problema è il reflusso e/o dolore esofageo piuttosto che l’acidità gastrica in sé, l’assunzione di un cucchiaino (non di più, per evitare gli effetti collaterali dovuti alla solanina) di patata cruda finemente tagliata o grattugiata allevia notevolmente dolori e rigurgito. Ancora, altri rimedi naturali da non sottovalutare sono i seguenti: l’aloe vera, il cui gel puro è ottimo in presenza di reflusso (soprattutto se preso prima dei pasti), la malva (in tisana o associata al riso, contribuisce a calmare la gastrite), o tisane a base di camomilla, valeriana e melissa.

 

Qualora, però, sia diagnosticata l’infezione da Helicobacter Pylori, e/o una condizione cronica come la MRGE, l’uso del succo di limone o di altri singoli rimedi (molto validi in determinate condizioni) non sarà più sufficiente, e sarà necessario il repentino e accurato adeguamento di tutta la dieta. Ogni condizione, infatti, deve essere opportunamente trattata con l’ausilio di specifici alimenti e, soprattutto, modalità di cottura degli stessi. Uno stesso alimento, infatti, svolge un ruolo molto diverso nei confronti dello stomaco (e di altri organi come il fegato, i reni e il pancreas), se consumato crudo, lesso, fritto o arrosto. Ovviamente, anche le associazioni alimentari assumono un’importanza primaria, ma non è questa la sede per discuterne. Ricordiamo, infatti, che ogni singola condizione necessita di un protocollo dietoterapico a se stante.

 

Tornando alla MRGE, chi ne soffre fa molto probabilmente uso e abuso di antiacidi (inibitori di pompa protonica) e/o gastroprotettori. Ebbene, anche se si tratta di farmaci reperibili senza ricetta medica, non significa che siano innocui, anzi! Alla lunga, è proprio l’uso di questi prodotti che danneggia la mucosa gastrica in modo irreversibile e, come emerso da un recente studio americano, può ripercuotersi perfino su quella intestinale, aumentando il rischio di ulcere a livello del duodeno.

 

La categoria di farmaci citata comprende tre classi: farmaci che neutralizzano il pH gastrico mediante utilizzo di sali alcalini; farmaci che mirano alla riduzione della produzione di acido; farmaci che “proteggono” la mucosa gastrica formando una pellicola sintetica sulla superficie interna o stimolando la produzione di muco.

 

Se da un lato può trattarsi di farmaci utili in caso di necessità acute e per un uso di breve durata, gli effetti collaterali derivanti dall’uso prolungato si possono invece rivelare molto dannosi. Ciò è dovuto, in primis, al fatto che questi farmaci vengono spesso prescritti senza un vero motivo, e senza considerare che l’assunzione di queste sostanze interferisce pesantemente con i fisiologici processi digestivi. Grazie alla loro azione, infatti, lo stomaco smette non solo di secernere acido, ma anche di digerire! Senza la fisiologica acidità gastrica, infatti, nessuno degli enzimi digestivi può funzionare correttamente, con il risultato che gli alimenti “complessi” arrivano nell’intestino senza essere stati adeguatamente scomposti, affaticandolo non poco, e penalizzando anche fegato e pancreas.

 

Altri effetti associati all’uso cronico e/o inadeguato di antiacidi sono i seguenti: variazioni dell’equilibrio acido-base del sangue (con conseguenze talvolta molto gravi), insorgenza di diarrea o costipazione a seconda del principio attivo utilizzato, aumentato rischio di sviluppare allergie alimentari, e carenza di un elemento importante come il magnesio.

 

Considerato tutto ciò, sarebbe meglio affrontare la presenza di reflusso, esofagite o gastrite in modo più attento e mirato, prima di ricorrere all’uso di farmaci palliativi, non solo non risolutivi, ma a lungo andare solo dannosi. Due volte su tre, del resto, non si tratta di un disturbo organico, bensì di una manifestazione di stress, di un’alimentazione del tutto inadeguata o di un effetto collaterale dovuto all’uso di altri farmaci.

 

 

 

di Wanda Rizza

 

 

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http://www.ragusaoggi.it/59110/quanto-importante-saper-associare-gli-alimenti