COME PREGAVANO I NOSTRI AVI

Sta  scendendo   la sera di una mite giornata autunnale, nel cielo indugiano le ultime pennellate di una tenue luce, nel vicolo le donne cominciano ad uscire dalle loro case a pianterreno, ognuna portando seco una sedia o una panchetta, e si dispongono in cerchio.

Gli uomini, tornati poco prima dal lavoro,interrompono i loro discorsi e si accostano al gruppo: qualcuno rimane in piedi, altri siedono su un gradino, altri ancora si affrettano ad entrare in casa per prendere una seggiola e unirsi ai vicini già silenziosi e composti.

Un vecchio dal viso arso dal sole   e scavato da solchi profondi, con le mani ruvide e nodose, con la schiena curva per gli anni trascorsi a lavorare nei campi, intona con voce stentorea:

“Principiamu sti cincu posti ri Santu Rusariu,

‘n lloria a Diu e a Maria Santissima

‘n pinitenza re nuostri piccati

e ppi l’armuzzi santi ro Priatuoriu”

Cominciamo a recitare queste cinque poste del S. Rosario

Per la gloria di Dio e di Maria Santissima,

in penitenza dei nostri peccati

e per le anime sante del Purgatorio.

E’ una formula questa che riassume felicemente i principali obiettivi della preghiera: l’adorazione di Dio, la venerazione di Maria, la penitenza per i nostri peccati e la memoria dei defunti.

Il vecchio è la persona più saggia, più “colta” e , quindi, più autorevole della piccola assemblea, pertanto a lui spetta presiedere e dirigere il rito serale del Santo Rosario:

E’ forse il solo nel vicolo a conoscere il testo completo in dialetto del Pater, dell’Ave, del Gloria e, soprattutto le litanie e i misteri, e questo basta per farlo tenere nella considerazione   di un letterato.

Il Rosario prosegue:

“Lloria a lu Patri, a lu Figghiu e a lu Spiritu Santu,

comu ha statu, accussì sarà, ppi tutta l’eternità”

“Gloria al Padre,al Figlio e allo Spirito Santo,

come è stato, così sarà per tutta l’eternità”

Dopo il Gloria il vecchio intona:

“Diu Ti manna l’ammasciata

  ca ri l’ancilu è purtata,

  ri lu figghiu ri  Diu Patri

  gghià, Maria,ssi fatta matri.

O gran Vergini Maria, mi cunsuolu assai ccu tia”

“Dio Ti manda l’ambasciata,

 che Ti viene portata dall’(arc)angelo,

del Figlio di Dio Padre,

già, o Maria, sei diventata madre.

O Gran Vergine Maria, ne sono felice con Te.”

Ecco la formulazione dialettale, in versi, del primo dei quindici misteri del Rosario, misteri   che, nel loro complesso, potremmo definire un quinto Vangelo, destinato al popolo e, quindi, estremamente semplice, e che sono ricchi, in questo testo in Siciliano,  di una intensa e commossa partecipazione alle  gioie e ai dolori di Cristo e di Maria  e pieni di quei diminutivi e vezzeggiativi che, nella nostra gente, sono segno di grande affetto, giammai di scarsa riverenza verso il Divin Redentore e la Santa Vergine.

Si è fatto buio, l’unico lampione del vicolo è stato acceso, le Ave e i Pater si susseguono, la voce tonante del vecchio si alterna al coro un po’ disordinato delle altre voci, : ‘u zu Vanni non ci sente e va per conto suo, a ‘gna Tura ha sempre fretta e ha già concluso l’Ave Maria quando gli altri stanno ancora dicendo “Pria ppi niautri piccatura…” , Massa Saru si addormenta di tanto in tanto e, quando si sveglia, stenta a riprendere il filo.

Dopo il terzo Gloria il vecchio patriarca, mai distratto, lui, recita:

“ ’Nta na povira manciatura

    parturiu la Gran Signura

    a Ghesuzzu Bamminiedu.

     mmienzu ‘o voi e ‘o sciccariedu!“ 

 “In una povera mangiatoia

   ha partorito la Grande Signora(equivalente di Madonna)

  il piccolo Gesù Bambinello,

  in mezzo a un bue e ad un asinello.”

 

Il Rosario durerà ancora almeno un quarto d’ora. La devozione popolare non si accontenta delle cinque poste e dei misteri, ma aggiunge una lunga serie di Pater, Ave, Gloria indirizzati a questo o quel santo, cercando di evitare eventuali gelosie.

La Madonna, in particolare, è tenuta presente nei singoli modi in cui è venerata, e così viene recitata un’Ave Maria per l’Immacolata, una per l’Annunziata, una per l’Addolorata ….

Ecco è il momento delle litanie, tutti, anche i più vecchi e pieni di acciacchi, si inginocchiano sulla nuda terra e recitano in coro “ora pro nobis” o meglio “ora branobbi” in risposta alle formule delle litanie lauretane scandite dal vecchio, certamente senza capire cosa significhi “Turris eburnea” “Janua coeli” “Auxilium Christianorum” (D’altronde non è che le pessime traduzioni in Italiano di adesso siano comprensibili …!)

Questa scena non è frutto della mia immaginazione ma la rappresentazione di quanto effettivamente accadeva ad una certa ora della sera nei vicoli, nei chiassetti, nelle case dei nostri, non dico nonni, ma certamente bisnonni.

Non dimentichiamo che “Il Gattopardo” inizia proprio con la recita del Rosario al tramonto, anche se in tutt’altro contesto…

Questo dimostra che di fronte ad una delle forme di preghiera più tradizionale non c’erano distinzioni di classe, se non nella lingua. Certo, chi aveva il cappellano in casa, pregava in latino, magari senza capirlo.

Nessuno vuole tornare indietro, a quel mondo evocato dalla scena con cui si è aperto questo scritto, non lo potremmo creare di nuovo mai più. Abbiamo, però,il dovere di conoscerlo, di non sottovalutarlo e questo è possibile grazie a quegli studiosi e infaticabili ricercatori di cultura popolare, i quali , prima che questo prezioso patrimonio, trasmesso oralmente di generazione in generazione, andasse disperso, hanno raccolto dalla viva voce dei più anziani leggende, indovinelli, proverbi, canti d’amore e preghiere.

Tra questi meritano la nostra gratitudine Serafino Amabile Guastella,per le note illustrative del “Vestru” e “Le parità morali”, Carmelo Assenza, per i “400 indovinelli siciliani” , “I canti popolari della Contea di Modica” e “I canti religiosi della Contea di Modica” Giovanni Selvaggio per “Il culto della S. Famiglia nella città di Ragusa”, “La festa del Battista a Ragusa”, “La festa di S. Giorgio” e il Sacerdote Salvatore Tumino per  una raccolta di “Preghiere Siciliane” pubblicate nel 1986   dal Comitato per le chiese di Ibla.

E’ facile obiettare che probabilmente queste preghiere, come molta parte della così detta letteratura popolare, sono state scritte ,ad uso del popolo, da persone, rimaste anonime, di discreta cultura, probabilmente sacerdoti, come dimostra la conoscenza delle sacre scritture e il rigore teologico che stanno alla base degli enunciati dei quindici misteri del Rosario e di altre preghiere.

Il popolo le ha profondamente assorbite e fatte sue e le ha trasmesse alle generazioni successive, come questa tenera preghiera della sera che la mia nonna aveva appresa dalla madre quando era bambina e che  recitava sempre:

“Ccu Gesù mi curcu,

ccu Gesù mi staiu,

siennu ccu Gesù

paura nun haiu.

San Giuseppi e mo’ patri

‘a Maronna e mo matri,

i Sarafini cucini:

Siennu ccu st’amici firili,

mi fazzu a Santa Cruci

e mi mettu a durmiri

Gesù, Giuseppi e Maria,

vi rugnu u cori e la’nima mia;

Gesù, Giuseppi e Maria,

aiutatimi e assistitimi

finu all’urtima ancunia;

Gesù, Giuseppi e Maria,

spira ‘mpaci ccu vui l’anima mia.”

“Con Gesù dormo,

con Gesù sto,

stando con Lui,

non ho paura.

San Giuseppe è mio padre

la Madonna è mia madre,

i serafini cugini,

stando con questi amici fedeli,

faccio il segno della croce

e mi metto a dormire.

Gesù Giuseppe e Maria

Vi dono il cuore e l’anima mia;

Gesù, Giuseppe e Maria

aiutatemi e assistetemi

sino all’ultima agonia

Gesù, Giuseppe e Maria,

spiri in pace con voi l’anima mia. “                                   

 

 

 Laura Barone

 

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