Condire i discorsi

Certe notizie sono come gli amori di una nota canzone: fanno giri immensi e poi ritornano.
Ogni sabato, Antonio Casa sceglie un fatto accaduto – in Italia e nel Mondo – e lo racconta con risvolti e riflessioni in chiave ragusana.

Una rubrica del genere può chiamarsi solo in un modo.

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Condire i discorsi

Allo Iulm, uno dei sette atenei di Milano, è terminato pochi mesi fa il primo corso su genesi, uso di insulti e scurrilità. Dodici le lezioni tenute dallo scrittore e divulgatore Vito Tartamella, autore di un seguito blog sul tema. Gli incontri, programmati dalla fine di febbraio, sono andati esauriti, tant’è che l’Istituto Universitario di Lingue Moderne intende programmarne la replica.
Avete capito bene: all’università hanno fatto lezioni sulle parolacce, dai tempi dei Romani a quelli dei social.

Alzi la mano chi non ha mai espirato una parola scurrile. Di petto, di striscio, in un momento d’ira o di sconforto. O soltanto per dare maggiore enfasi a una frase; per insultare il vicino, il collega, lo sconosciuto al volante: un “vaffa” è sempre pronto per tutti, nessuno escluso, come celebra Eddy Murphy in una famosa battuta de “Il principe cerca moglie” (1988).

In un inno contro il menefreghismo e la disinformazione (“Pigro”, 1978), Ivan Graziani sentì il bisogno di andare controcorrente alla già manifestata deriva di quegli anni: “E poi le parolacce che ti lasci scappare/ che servono a condire il tuo discorso d’autore/ come bava di lumaca stanno lì a dimostrare che è vero/ è vero non si può migliorare/ col tuo schifo d’educazione, col tuo schifo di educazione. Pigro!”

Parolacce. Noi siciliani intercaliamo spesso quella che inizia con M, nelle sue sfaccettature locali. L’abbiamo esportata al punto che una volta – era la metà degli anni Novanta – giuro di averla ascoltata, con cadenza catanese, nell’aeroporto di Johannesburg, Sudafrica. Un mio conoscente si fregia di avere insegnato la versione modicana, quella con la Z in prima lettera, ai gestori di una casa vacanza a Bergen, Norvegia. Loro, indigeni da chissà quante generazioni, conoscevano già l’originale isolano, ma evidentemente sentivano il bisogno di ampliare il lessico per sorprendere gli amici davanti al camino, nelle lunghe giornate invernali.

“Minchia” ha ormai sconfitto “Pirla” per numero di citazioni proprio nei luoghi d’elezione di quest’ultimo.
Se avessimo registrato la nostra simbolica M alla Siae, camperemmo di rendita in diritti d’autore. Invece a Milano danno lezioni all’Università. L’enorme differenza? Riescono a vendere tutto, anche le parolacce. Roba da farsi scappare Z, seguita da punto esclamativo.

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