La nascita del governo Letta ha posto le premesse e le condizioni per tutta una serie di inevitabili conseguenze alle stesse riconducibili sia direttamente che indirettamente.
Si è infatti ufficializzato un distacco politico fra l’ex premier Berlusconi e il suo delfino Alfano.
Il vice presidente del Consiglio ha nei fatti guidato una pattuglia di senatori e deputati disponibili a sorreggere il governo Letta. Berlusconi inaspettatamente e spiazzando i “dissidenti” ha dichiarato, contrariamente alle previsioni, di sostenere lo stesso governo, ma è da doversi nella sostanza verificare per il futuro se l’asserita contrapposizione può eliminarsi oppure tramutarsi in due formazioni politiche fra di loro diverse.
Alfano avrà senza dubbio previsto che il distacco dal suo capo non può essere considerato come un singolo e non significativo posizionamento privo di conseguenze. La prima di queste è data dall’ufficializzazione del distacco a cui deve seguire un programma politico- organizzativo al quale devono poter fare riferimento quanti ritengono di avallarlo. Ciò, oltre tutto, ha un indiretto, ma non per questo meno importante, rapporto con la durata del governo che il suo premier Letta ha inteso datare nel minimo fino al 2015. Letta è un esponente del Pd e questo partito, tranne rinvii dell’ultima ora, deve eleggere il suo segretario che, stando ad un verosimile calcalo di probabilità, si impersonificherà nella persona di Matteo Renzi. E’ comune dato politico che il sindaco di Firenze non aspira a sostituire Epifani, ma intende considerare il ruolo di capo del partito come un trampolino di lancio per raggiungere il vero obiettivo che è quello di un governo da lui presieduto. Ebbene, se la prevedibile durata dell’attuale governo è fino al 2015 non appare dubbio che Renzi, se dovesse essere eletto capo del suo partito, deve rimandare nel tempo la sua desiderata scalata. Letta, a questo punto, dovrà ogni giorno chiedersi se l’appoggio politico del suo partito sia vero e sostanziale e non semplicemente formale e di pure apparenza. La sua stabilità non può non comprendere anche quella del suo vice Alfano, specie se questi intende nella sostanza diversificarsi politicamente e organizzativamente dal suo ex capo.
Il quadro come ben si vede non è affatto chiaro e netto nei suoi contorni.
Quello che è nato è una seconda edizione delle larghe intese. Di per se stesse considerate queste larghe intese rappresentano un’unione fra esigenze politiche e programmatiche fra di loro contrapposte. Pd e Pdl se le sono date di santa ragione per molti anni ed elementare logica induce a ritenere che fisiologicamente l’alleanza non può che essere transitoria e comunque limitata nel tempo. Le tanto declamate grandi riforme strutturali sono, infatti, enunciazioni generiche che non scendono mai nel particolare e ciò per la chiara motivazione che l’attuazione di una grande riforma su un determinato settore trova ostacolo in chi di quel settore è curatore o espressione politica. Se così non fosse non vi sarebbe differenza alcuna fra Pd e Pdl.
Questo governo per sua strutturazione politica non può che avere una vita limitata nel tempo e i suoi protagonisti possono trovare un accordo per eliminare le comuni emergenze nazionali e soddisfare i vincoli non derogatori che ci impone l’Europa.
In questa ratio politica dovrebbe essere inteso il monito della Confindustria che con quel famoso “Fate presto” ritiene essenziale per non far cadere il paese nel baratro economico, una stabilità governativa e l’assunzione di adeguate misure strutturali per una generale ripresa produttiva idonea quanto meno a diminuire quella percentuale negativa fra deficit e prodotto interno lordo che, peraltro, è posta sotto la lente d’ingrandimento dell’Europa.
Un’analisi politica non può essere unidirezionale. Non si può in pratica estrarre dal complesso delle condizioni su cui poggia, come nel nostro caso, lo status del governo del paese una sola di esse ed ergerla a dignità di verità assoluta.
La prossima legge finanziaria, chiamata oggi non a caso di stabilità, non può non essere che un grande contenitore di misure idonee, quanto meno nell’immediato, a delineare i contorni di quell’accenno di crescita che i tecnici ci dicono già in cammino e come punta di avvio per la diminuzione del pil che il prossimo anno sarà pur sempre di segno meno.
Ne consegue, pertanto, che la divergenza prima enunciata e subito dopo ricomposta fra Alfano e il suo capo partito nell’enunciazione del voto di fiducia al governo non può assurgere ad un unico argomento polarizzante l’attenzione dei cittadini o una eventuale divergenza di opinione fra gli stessi. L’interesse generale nell’immediato deve poter riposare sull’idoneità delle misure che il governo deve adottare e che è il fine principale a beneficio dell’intero paese.
L’impresa senza dubbio è irta di difficoltà e di ostacoli da superare.
Un esempio è dato dalle continue enunciazioni di taglio della spesa pubblica. Dirlo in termini generali è alquanto semplice e molte volte gradevole a chi ascolta. Difficile, invece, è individuare quali parti della stessa possono essere tagliate. Ogni categoria ritiene che debba essere un’altra e quest’ultima un’altra ancora e così di seguito.
In altre occasioni si è avuto l’occasione di ipotizzare che si potrebbe delineare dall’alto, e quindi da chi ha il potere di farlo, una bipartizione fra le spese obbligatorie e spese superflue. Queste ultime seppure gradevoli ed accattivanti non sono destinate a soddisfare bisogni primari.
E’ quello, in sostanza, che nella maniera più semplice fa quel cittadino che avendo a disposizione per quel giorno solo 10 euro di certo li spenderà per comprare il pane e un chilo di pasta rinunciando, tanto per esemplificare, anche se fumatore accanito, ad un pacchetto delle sigarette preferite o di quanto altro non è idoneo a riempigli lo stomaco e che comunque rientra nella classificazione delle esigenze primarie idonee a tenerlo in vita.
In particolare, le due principali forze politiche in atto al governo vanno rispettate per l’ovvio motivo che in esse si individuano milioni di cittadini e pertanto incombe su di loro l’obbligo di dimostrare che antepongono ai loro problemi interni la vita dell’intero Paese composto anche di tanti altri milioni di cittadini che seppure a questa prova non sono chiamati in via diretta devono anche loro dimostrare di tenerne conto non nella forma ma nella sostanza. Quando brucia una casa il fuoco deve essere spento. Da tutti quelli che vi si trovano dentro.