Cuoricini e narcisismi sui social. Dobbiamo preoccuparci?

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola.

I like, i cuori, i commenti e le visualizzazioni delle storie sono croccantini per la vanità degli esseri umani digitali. Forse. 

Il social network è un metamondo parallelo in cui accrescere l’ego? Forse. Tuttavia, il bisogno di essere apprezzati è presente anche nella più nobile “Piramide di Maslow”. Dopo i bisogni primari, fanno capolino i bisogni sociali di appartenenza, amore, accettazione. Sereni dunque. Essere lusingati da un like non significa essere narcisisti. Il like provoca una sensazione di piacere anche alla persona meno narcisista dell’universo. Ma non lo ammetterà mai. 

Anche Freud direbbe che il like è un mezzo efficace per gratificare il naturale narcisismo. E a livello neurologico e corticale, un like attiva le medesime strutture cerebrali che si attivano quando si mangia cioccolato o si prende un buon voto a scuola, ossia, il “sistema della ricompensa”. 

Cito nuovamente me stesso. L’approvazione e il supporto sociale hanno un ruolo fondamentale nella costruzione del proprio sé. E i like hanno un ruolo a livello sociale. Nei più giovani, possono determinare senso di inclusione e autostima (o al contrario esclusione e senso di sfiducia). Il like è un concetto antico in un vestito nuovissimo.

Ricevere molti like accende appunto aree coinvolte nell’esperienza soggettiva del piacere. Un like è ormai come una ricompensa di cui abbiamo assoluto bisogno? Un croccantino necessario per scodinzolare felici? Va tutto bene. Purché non smarriamo una verità inestimabile di fondo: il proprio valore personale non è mai dato dal numero di like. Ma dal numero delle visualizzazioni (scherzo).

Cosa si nasconde dietro un “mi piace”? Nulla di che insomma. Non serve farla troppo complicata. Cliccare un like va ben oltre l’apprezzamento di un post. Definisce pubblicamente noi stessi e il perimetro dei nostri gusti. Non solo. Ci hai mai pensato? Tu sei convinto semplicemente di cliccare col ditino indolente e invece stai “riconoscendo” un altro essere umano e la sua meravigliosa esistenza, mediante un’interazione sociale profondissima! Stai comunicando cosa? Vediamo. Sovente, quando appiccichi il like, non hai letto o capito neppure lontanamente cosa ci sia scritto. E magari non ne condivideresti neppure il contenuto, se fossi sobrio, ma è come se dicessi tra le righe al tizio: “Guarda che ti vedo. Sono qui e so cosa hai scritto”. Molti “mi piace” non sono per il post (o la foto o la storia o il video) in sé, ma per chi lo pubblica. Quando pensiamo di essere grandi scrittori o fotografi o chef, ricordiamoci che molti amici elargiscono un like per compassione o senso del dovere nei nostri confronti o solo per ricambiare educatamente (“Poi ci rimane male se non glielo metto.”). Il like è una forma di “empatia digitale”? Solo se sei empatico anche nel mondo reale. Allora ha una risonanza affettiva. Nell’era delle frustrazioni interpersonali e solitudini esistenziali, un like ci dice che abbiamo l’approvazione di qualcuno. Meglio di niente, non credete? 

Cliccare il like implica e schizza la condivisione di un’idea e di un messaggio. I personaggi politici, coi loro post, cercano consensi per accrescere il proprio capitale sociale, che consiste anche in un tesoretto di like nell’algoritmo elettorale di un social.

Ma quelli che mi fanno impazzire sono i “non like” di chi li mette a chiunque tranne a te, per competizione, gelosia, invidia momentanea, insomma, per non darti satium. 

I social network sono onnipresenti sin dall’alba dei nostri giorni stupefatti e hanno rivoluzionato la comunicazione: mai come oggi siamo stati così dipendenti dal fatto che gli altri ci prestino attenzione o meno, sin dalla prima tazza di caffè … Quali sono gli effetti negativi di questa dittatura dei like? Nuovi disturbi? La dipendenza? L’ossessione di apparire migliori di altri?

Gli esseri umani siamo animali sociali, e uno dei nostri istinti elementari è la ricerca di approvazione. Rassegniamoci. Ricevere un like a una nostra foto, ad esempio, attiva gli stessi meccanismi di ricompensa cerebrale di quelli attivati da un complimento o dal bacio di una persona amata. Ma in gioco c’è anche l’autostima ingenerata dal fatto che, nella platealità, un like è pubblico e tutti possono vederlo. E questo alone scenografico ne rafforza il valore e l’effetto.

Insomma, un social non è soltanto la fiera delle vanità. Può essere anche il giardino della gentilezza.

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