DANZA E JAZZ

Quando Carolyn Carlson e John Surman si incontrarono, nel lontano 1972, entrambi  si sentivano in qualche modo destinati a questo. Lei, una delle più grandi danzatrici contemporanee, muoveva i suoi primi passi nell’ambito dell’improvvisazione e aveva già sentore di ciò che, tempo dopo, le avrebbe fatto dire:

“a volte penso che, in un’altra vita, sono stata una musicista di jazz”.

Lui, il geniale folletto del jazz britannico, smaniava con incredibile scioltezza fra gli esperimenti assoluti del trio SOS e le prime fascinazioni del folklore celtico e della lezione minimalista.

A proposito del trio, la stessa Carlson raccontava – nella sapida intervista a Filippo Bianchi riportata nel bellissimo Il secolo del jazz – come il giorno in cui fu presentata a Surman, questi arrivò coi suoi sodali Alan Skidmore e Mike Osborn, una formazione di soli sassofoni che faceva meraviglie, e “tutti completamente folli”. L’incontro segnò le  loro vite e da quel momento i due non si persero più di vista, mantenendo negli anni un sodalizio – sia pure saltuario – che ha dato a coloro i quali hanno avuto la fortuna di vederli dal vivo un’esperienza indimenticabile.

Un altro momento significativo della loro collaborazione – totalmente improntata all’improvvisazione assoluta – fu il festival di Norimberga del 1976, a cui Surman partecipò portandosi la Carlson e  l’intero corpo di ballo dell’Opéra de Paris, senza avvertire il direttore artistico della manifestazione.  Sul palcoscenico, ovviamente privo del tappeto di danza, accaddero cose inenarrabili, in un set che mandò in visibilio l’attonito pubblico.

Purtroppo (e inspiegabilmente) non c’è in circolazione alcun documento filmato che consegni alla memoria questo straordinario incontro fra musica e danza completamente nel segno dell’improvvisazione (ma sarei molto felice di essere smentito!). Nemmeno su youtube si riesce a scovare qualcosa che li veda insieme e ciò contribuisce ad allargare a dismisura l’alone di fascino che conserva la memoria di chi li ha visti in azione.

Surman stava un po’ sullo sfondo  armeggiando con le sue tastiere e i suoi synth e i suoi sassofoni, a proporre ora pedali apparentemente immobili ora sinuose escursioni modali ora struggenti melodie estemporanee. Su questo tappeto musicale di unica bellezza, la Carlson si muoveva materializzando i ritmi e le suggestioni timbriche nei gesti plastici della sua danza. Dietro, pochissime cellule strutturate e per il resto assoluta libertà creativa!

Per non restare a bocca asciutta, ci si può far bastare uno dei pochi dvd prodotti, Signes, del balletto dell’Opèra de Paris, di cui la Carlson è stata a lungo la coreografa di punta. Mentre è ovviamente facile pescare un titolo, dalla sterminata discografia di Surman, che dia la misura del suo genio. Proponiamo Private City. Ma va bene  anche Stranger than Fiction, che propone echi cameristici europei spruzzati su un tappeto timbrico che il baritono di Surman ritaglia omaggiando il grande Harry Carney. Miracoloso.