In margine al convegno sull’immagine, il cibo e la relazione, di cui avevamo dato notizia alcune settimane or sono, ci “inceppiamo” su una paio o tre di spunti che ritengo valga la pena di ribadire.
Il primo è quello che concerne la smodata attenzione per l’immagine, che caratterizza l’era narcisistica dentro la quale viviamo: un’attenzione resa nervosa, oppressiva dalla necessità di esercitare su di essa e –attraverso essa – sugli altri che ci guardano, un controllo assoluto.
Il secondo è quello che ha a che fare con la tragedia dell’anoressia e della bulimia, estreme propaggini dell’universo vischioso e ambivalente in cui si muove il nostro rapporto col cibo, fatalmente capace di caricarsi di significati di “nutrimento” (letterale e metaforico) ma anche di infezione, di “intossicazione”.
Vi è poi anche – più defilato – un terzo spunto che vale la pena di raccogliere: le vicende e i destini della relazione, quella dimensione tipicamente umana nella quale siamo immersi dai primi istanti della nostra vita e dalla quale – a tratti – pretendiamo di uscire a nostro piacimento, specie quando vi annaspiamo dentro ridotti in apnea.
Ognuno dei tre temi merita uno studio a parte ma forse c’è un modo di metterli insieme, e non solo dentro alla struttura operativa di un convegno ma proprio nell’incessante lavoro che ognuno di noi – nelle diverse competenze coinvolte – fa girandoci intorno: educatori, medici, psicologi, artisti, giornalisti. Se teniamo fermo il fatto che la relazione possa essere lo spazio, lo scenario in cui accadono i più svariati processi di maturazione dell’individuo. Se, poi, assumiamo che questi processi possano prendere direzioni e avere sviluppi tali da portare il soggetto a cercare un modo per spostare la necessità del controllo dal piano fisiologico della relazione a quello simbolico di una sua “traduzione” concreta (il cibo). Se, infine, facciamo cadere questo schema di pensiero nella rete avviluppante della cultura dell’immagine, dentro la quale accade sempre una qualche sorta di impoverimento della capacità di entrare in contatto con gli altri. Se ci muoviamo lungo questo tracciato di metodo e di contenuti, dunque, abbiamo qualche chance di far interagire quei concetti e ricavarne una teoria o anche solo un modello interpretativo unico.
Immagine, cibo e relazione.