Disconnessione: in Australia è legge, da noi scatenerebbe il panico

Il 26 agosto è entrata in vigore in Australia una legge sul diritto dei lavoratori dipendenti a non rispondere a chiamate o mail di lavoro fuori dal loro orario di ufficio. L’obiettivo del Parlamento del grande Paese oceanico è chiaro: ristabilire un confine fra vita lavorativa e vita privata, soprattutto in un momento storico nel quale la diffusione del lavoro da casa e l’utilizzo costante degli smartphone non consente una precisa separazione tra i due aspetti della quotidianità.
La legge si applica a tutti i dipendenti pubblici e dall’agosto del prossimo anno anche a coloro che lavorano nelle piccole imprese, coprendo così la maggior parte dei lavoratori assunti australiani. Il diritto alla disconnessione diventa così dovere, sia dei dipendenti che, soprattutto, dei loro datori di lavoro.
I fattori da prendere in considerazione per valutare la ragionevolezza del contatto da parte del datore di lavoro sono diversi, fra cui principalmente: la natura e l’urgenza del motivo del contatto; il metodo di contatto (ad esempio una mail o una telefonata); se il dipendente verrà retribuito per il lavoro straordinario che dovrà svolgere; il livello di responsabilità del dipendente all’interno dell’organizzazione o dell’azienda; e le circostanze personali del dipendente.


Sui media australiani è in atto un dibattito sull’interpretazione delle nuove norme. Alcuni analisti non sono convinti della sua efficacia, perché la legge specifica che i dipendenti hanno il diritto di non rispondere “a meno che tale rifiuto non sia irragionevole”. Molto opinabile, dunque. Si vedrà.
Secondo il primo ministro Anthony Albanese (papà di Barletta) “dato che i dipendenti sono pagati solo per alcune ore, vogliamo assicurarci che non debbano lavorare ventiquattr’ore al giorno. È anche una questione di salute mentale dei lavoratori”.
Leggi sul diritto alla disconnessione sono entrate in vigore in Francia nel 2017, in Spagna nel 2018 e in Belgio nel 2022.

In Italia non abbiamo ancora una legge in merito. Non abbiamo nemmeno un “diritto alla disconnessione”, per cui i regolamenti tra datori e lavoratori sono banali e spesse volte inevasi. Così lavoratori pubblici e soprattutto privati ricevono chiamate, e-mail e messaggi anche a tarda sera. L’oggetto della comunicazione va dalla semplice informazione – che potrebbe essere chiesta l’indomani senza chissà quali conseguenze – alle cortesie personali, con appendice del quasi immancabile “taglia e cuci” su quel collega, ovviamente antipatico e pieno di complessi. Eppure una legge servirebbe, perché siamo uno dei popoli più connessi del pianeta.

I nostri smartphone sono ormai una propagazione di mani e occhi. Nove volte su dieci è la prima cosa alla quale diamo un’occhiata appena svegli, prima ancora di salutare coniuge e figli. Quest’ultimi, poi, perdono preziose ore di sonno rispetto ai coetanei di trent’anni fa e anche gli adulti non scherzano. Ansia, depressione ed esaurimento nervoso (anche se adesso va di moda chiamarlo burnout) sono diventati fenomeni trasversali, indipendenti da età, sesso e ceto sociale.

Oltre a una legge, da noi servirebbero sedute collettive di analisi psicoterapica per farci capire che la disconnessione a qualcuno magari servirà a fare carriera più velocemente, ma certamente non al nostro corpo. Si capisce per ovvi motivi che alcune categorie professionali debbano essere sempre reperibili, tuttavia l’eterno bip-bip – inequivocabile segnale che qualcuno ci cerca – sta rovinando l’esistenza delle nostre ore di rilassamento in vista delle necessarie ore di sano riposo notturno.

Nell’oltre 90 per cento dei casi si tratta di messaggistica futile. Basta farsi un giro stasera su Facebook – da dove la maggior parte di voi mi sta leggendo in questo momento – per capire quanti “amici” saranno connessi. Scommessa inutile: tanti! Nei gruppi denominati “sei di Ragusa, Vittoria, Modica, eccetera se…” la discussione verterà sul traffico cittadino, sulle nostre città avare di eventi e sulle ricette di chi ha deciso di starsene a casa. Ah, però! L’importante è essere lì, con la lucina verde insomma. Come dire: “Ci sono!”

Istigazione a parte, oggi tra l’altro è sabato: usciamo e parliamo con le persone che abbiamo davanti. Guardiamole negli occhi. Ascoltiamole. Rispondiamole. Con coraggio, spegniamo il cellulare: saremo ligi alla legge del buon senso. E il cervello ci ringrazierà.    

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