Quei due, Massimo Leggio e Riccardo Maria Tarci, hanno trascinato il pubblico in un gioco di ruoli, in cui ognuno di loro era innanzitutto se stesso e solo dopo il personaggio da incarnare. In maniera strabiliante, hanno messo e dismesso abiti, parrucche, volti, voci. In un susseguirsi sul palco di citazioni di autori grandiosi che la storia del teatro hanno scritto, da Shakespeare ad Achille Campanile e i fratelli Giuffrè, fino alla poesia di un non meglio identificato autore norvegese contemporaneo dal titolo – ça va sans dire – “Buio”. Risate su risate. Teatro nel teatro, come Pirandello insegna, dove non si comprende l’entrata in scena e il finale è appena intuibile.
Ascolto non sempre semplice, come dimostra il dettato, parafrasato a piacimento, di una lettera, in cui tempo del racconto e della scrittura finiscono col coincidere richiamando sulla scena l’ironia di Totò e Peppino.
Il tempo, accelerato, corre, è già finito: “Questa sera c’è la Champions” ricorda l’Altissimo, lo spettacolo ha da concludersi, per farci ripiombare tutti nella drammaticità del reale.