Una delle tante enunciazioni profetiche di Battiato, estrapolata dalla canzone Zai Zaman, dell’album “Fisiognomica”, fine anni ‘80. Anche questa sintomatica dei tempi che stiamo vivendo. Concepita in un’epoca non sospetta, allorché l’immigrazione, in Italia, era un fenomeno incipiente e marginale, mentre un Occidente luculliano e gozzovigliante pontificava l’apoteosi della propria affermazione storica, solennizzando la caduta del Muro di Berlino e quella “fine della storia”, profetizzata nel libro del politologo statunitense, Francis Fukuyama[1].
Quale testo, quale migliore compendio in versi se non questo, di un Battiato agli esordi del suo successo per definire il periodo storico che stiamo vivendo ora? Al tempo in cui fu composto, una voce fuori dal coro.
Contestualmente una notizia di questi giorni è quella che i turchi di Germania, ovvero i figli ed i nipoti di quei Gastarbaiter, questa forza-lavoro che nel periodo a cavallo fra anni ’50 e ‘70, fu impiegata nell’industria mineraria e automobilistica tedesca, nell’edilizia ed altre attività simili stia, un po’ alla volta, pianificando un rientro nel Paese d’origine.
Artefici del boom economico tedesco, questi turchi, a differenza di noi, che per disperazione stiamo conoscendo una nuova ondata di flussi migratori verso l’estero, stanno ritornando a casa, perché se c’è un orizzonte dove si sta costruendo il mondo di oggi, esso non è a Berlino che non possiede la forza di Ankara. E tutto di guadagnato – per dirla con Buttafuoco – è stato per i turchi non entrare in quell’Europa che non li voleva sulla scorta d’improbabili quanto micragnose idiosincrasie.
Adesso Ankara triplica di PIL e di reddito pro capite. Come peraltro ribadito ad Izmir, fra il 30 ottobre e il 1 novembre, dove si è svolto il V Congresso Internazionale dell’Economia, organizzato dal Ministero dello Sviluppo, Cevdet Yılmaz. In una Turchia che ambisce, nei prossimi dieci anni, di divenire una delle dieci potenze economiche mondiali. Mentre il nostro Paese, alla totale deriva economica, tenta addirittura di modificare il proprio assetto geopolitico e geoeconomico.
Ritornando ai turchi di Germania, il giornale Bild, riporta la notizia secondo cui, già qualche anno fa (2009), 40 mila turchi hanno iniziato a intraprendere un rientro in patria[2].
La rivista tedesca allega alcune testimonianze interessanti, fra cui c’è quella di Özlem Aydın (31 anni), nata nella città di Monaco di Baviera, la quale avendo lavorato in Germania come Architetto e avendo visto la Turchia solo come meta vacanziera, ha dichiarato che: “In Turchia mi è stata fatta una buona offerta di lavoro. Ho incontrato una brava persona con cui mi sono sposata. Non penso di andarmene da qui. Monaco al confronto di Istanbul è una borgata. All’inizio, della Germania mi mancavano solo la birra, le salcicce e l’Oktoberfest”.
Arda Sürel (40 anni), invece, consulente per imprenditori in una banca di Mülheim, giunto in Germania in tenera età, trovandosi in Turchia per una vacanza sentì di appartenere a questa terra e, nel 2003, si trasferì ad Istanbul. “Trasferitomi ad Istanbul, ho fondato una mia propria azienda. Ritengo di possedere alcune caratteristiche proprie dei tedeschi che mi porto appresso”.
Özgür Mengil (36 anni), non ha ancora trovato una sua collocazione, tuttavia ci prova. Precedentemente lavorava a Francoforte come insegnante in un asilo nido e lasciato il lavoro ha deciso di vivere ad Istanbul. “È da due mesi che cerco lavoro ad Istanbul – afferma – l’insegnante d’asilo nido maschio in Turchia non è una professione abituale. Qui conosco poche persone e mi sento più straniero che in Germania” [3].
In generale, attestazioni di orgoglio nazionale ancora prima che di opportunismo imprenditoriale. Quello che manca a noi.
Verso l’Italia, infatti, – come accennato – non ritorna nessuno. Anzi, i giovani privati di una prospettiva per il loro futuro si rifugiano in Paesi lontani. Come l’Australia, che sarà pure un paradiso ma boring and flat, come dicono da quelle parti.
Mentre, dalla nave che affonda cercano di fuggire perfino quei pochi imprenditori stranieri, che lasciano il posto alle masse anonime di diseredati.
Masse che anche Pasolini preconizzò, in un componimento del 1965, intitolato “Alì dagli occhi azzurri”:
(…) Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini (…)
(… ) usciranno da sotto la terra per uccidere –
usciranno dal fondo del mare per aggredire – scenderanno
dall’alto del cielo per derubare (…)
(…)- distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica. (…)
Diseredati all’inseguimento del miraggio evanescente e obsoleto di quell’Occidente prospero e opulento reclamizzato sulle TV di mezzo mondo. Intensificando il nuovo business del secolo: il traffico degli esseri umani, che poi ritroviamo a questuare nelle piazze delle nostre città.
Un Occidente che soffoca per l’ingordigia e la sete di potere di una Comunità Europea retta da una Germania, il cui capo del governo, Angela Merkel ha dichiarato che:
“è riuscita a uscire bene dalla crisi e ora è sotto sorveglianza a Bruxelles per l’entità del suo surplus commerciale. Si può vedere come sono i trend dei consumi e della produzione nel Paese ma sarebbe assurdo ridurre la produzione e la qualità dei nostri prodotti per andare incontro alle richieste di Bruxelles”.[4]
E dall’Oriente non mancano i fanatici.
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[1] La fine della storia e l’ultimo uomo, Milano, Rizzoli, 1992.
[2] http://www.radikal.com.tr/dunya/40_bin_turk_ah_vatanim_demis-1030475
[3] http://www.radikal.com.tr/dunya/40_bin_turk_ah_vatanim_demis-1030475
[4] http://www.lanotiziagiornale.it/surplus-commerciale-berlino-se-ne-frega-delleuropa/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=surplus-commerciale-berlino-se-ne-frega-delleuropa