E’ TORNATO A CASA IL CUOCO POZZALLESE CARMELO SORTINO SEQUESTRATO IN SOMALIA ASSIEME AI COMPAGNI DI EQUIPAGGIO DELLA ENRICO IEVOLI

Provato. Dimagrito. Vuole dimenticare. Il prima possibile. Riprendere vigore fisico e morale. Per continuare a navigare. Senza titubanze o cedimenti.

“Trascorrerò l’estate in famiglia. Poi riprenderò il mio lavoro di cuoco. Su navi della marina mercantile”. Tono pacato. Sguardo sereno. “Quattro mesi di prigionia – dice il cuoco pozzallese della Enrico Ievoli, Carmelo Sortino – sono tanti. Inutile dire che ho sofferto, abbiamo sofferto. Difficile farsene una ragione. Attraversare alcune zone di mare oggi sta diventando molto pericoloso. So che gli Stati interessati, compreso il nostro, stanno facendo il possibile per garantire la sicurezza dei marittimi; mi auguro che possano al più presto essere trovate adeguate soluzioni. La nostra vita lavorativa comporta sacrifici particolari. Lo sappiamo bene. Se dobbiamo mettere in conto anche la possibilità di finire in mano a pirati o ribelli, il disagio psicologico diventa molto più pesante. Ad ogni modo non voglio scoraggiare nessuno, meno che mai recitare il ruolo di vittima. Considero quello che è successo un incidente. L’abbraccio con la mia famiglia mi ha restituito tranquillità. Voglio rimuovere al più presto una brutta esperienza di cui avrei volentieri fatto a meno”.

Gli chiediamo del momento più brutto, dei lunghi mesi di prigionia, della convivenza a bordo con i pirati, della speranza di fare ritorno a casa, della incertezza sull’esito dell’intera vicenda. Sortino si ferma un attimo. Respira lungamente.

 – Ci spiace…è il nostro lavoro. 

 – Non si preoccupi, capisco perfettamente. Raccontare serve anche a prendere… le distanze da quello che è successo.

“La situazione – aggiunge – è precipitata in pochi minuti. Sapevamo che quella zona ( coste dell’Oman) era a rischio. Avremmo infatti dovuto raggiungere una nave di scorta a qualche ora di navigazione; ma non abbiamo fatto in tempo. I pirati si sono avvicinati velocemente a bordo di un barchino. Erano armati. Da quel momento sono diventati i padroni della nave. Abbiamo capito che bisognava assecondarli. Loro comandavano e noi ubbidivamo. Siamo riusciti a mantenere i nervi saldi in ogni circostanza. Anche nei momenti più difficili. Il nostro comandante si è comportato con grande saggezza. E’ stato un vero punto di riferimento. Non abbiamo perso mai la speranza di ritornare a casa. In questi lunghi mesi abbiamo avuto brevissimi contatti telefonici con i familiari. Avevamo intuito che il nostro Paese stava facendo il possibile per liberarci. Dal punto di vista dell’alimentazione abbiamo sofferto solo negli ultimi trenta giorni. Finiti i viveri di bordo, ci siamo dovuti arrangiare con i prodotti fornitici dai pirati: farina, patate e cipolle. Per quatto mesi ho cucinato per l’equipaggio, diciotto persone, e per il gruppo di pirati a bordo che oscillava da 20 a 40 unità. Il momento più bello? Quando la nave, su ordine del nostro comandante, ha preso il largo. Una gioia indescrivibile. Una grande emozione. Pochi attimi per prendere coscienza della libertà riconquistata. Per riprenderci la nostra vita. Per cominciare a dimenticare”.