“E ULISSE PIANGENDO DIVORÒ ARGO”

La civiltà mediterranea, origine del sapere occidentale è sempre più emarginata, ridotta a lumicino e il 2014 può essere l’anno della sua capitolazione. La finanza, lo sterco del diavolo, la travolge e la impoverisce ogni  giorno di più; basta ricordare le numerose Leggi a suo favore che l’Unione Europea vara a getto continuo per capirlo, Leggi fatte solo per arricchire i pochi ed impoverire i molti. A breve sarà operativa la certificazione Europea di commestibilità dei cani che se da un lato ingrasserà qualche commerciante cinese ed europeo dall’altro darà il colpo di grazia alla nostra etica, ai nostri valori, alla nostra stessa coscienza di uomini pensanti e civili. Dovremo davvero piegarci alla barbarie e restare muti ed inerti ad aspettare che un’altra direttiva europea emanata dal solito burocrate ignorante e con la pancia piena, certifichi la commestibilità della carne umana? Si parla molto del dolore umano, assai meno di quello degli animali. Per alcuni, essi non sono che “macchine biologiche”. Chi ha la fortuna di vivere con loro, invece, sa che sono intelligenti, generosi e capaci di sentimenti profondi, con cui illuminano la nostra vita. Capaci, con la loro presenza affettuosa, di essere veri e propri analgesici anche per la nostra anima. Vi ricordate Argo? L’anziano cane di Ulisse, l’emblema, l’immagine arhetipica della proverbiale fedeltà del miglior amico dell’uomo? Di lui Omero canta una manciata di versi di commovente intensità’ capaci di restituirci il senso dell’attesa tenace e testarda, la gioia del riconoscimento, la capacità’ -del cane più’ che dell’uomo- di tenere sempre viva la speranza.

Rileggiamo un passo dell’Odissea: Siamo al XVII canto. Odisseo (Ulisse per i latini) sta per riabbracciare la cara moglie Penelope. E’ stanco e provato da anni di peregrinazioni fra terra e mare cui è stato costretto dall’ira di Poseidone, dopo la distruzione di Troia. Ora finalmente ha rimesso piede ad Itaca, ma deve affrontare un’ultima prova di coraggio contro i Proci, usurpatori e prepotenti, che hanno invaso la sua casa e insidiato Penelope. Nelle fasi che precedono e preparano il grande momento dello scontro violento e del riconoscimento dell’eroe,Omero regala alcuni passi di grande tenerezza e delicatezza. In uno di questi c’è la bellissima fotografia dell’incontro tra Ulisse e il suo fedele cane Argo. Ulisse l’aveva nutrito e allevato, abbandonandolo subito dopo, perché trascinato dal Fato a Troia. Argo lo ha aspettato per ben vent’anni, quasi per rendergli l’ultimo saluto ed ora può morire in pace. La commozione della scena è accentuata dalle parole di Eumeo, il servo che accompagna Ulisse e che ricorda il coraggio e la fierezza di quel cane, un tempo infallibile cacciatore ed ora abbandonato da tutti su un mucchio di letame in balia delle zecche. Nonostante il tempo trascorso e le diverse sembianze di Ulisse, che si mostra vestito da mendicante, Argo è l’unico a riconoscerlo, lo vede avvicinarsi e,”drizzate le orecchie”, si mette in atteggiamento vigile. A questo punto vorrebbe saltare in piedi e andargli incontro, ma non avendone più la forza “squassò la coda” in segno di festa e poi “gli occhi nel sonno della morte chiuse” finalmente sereno per aver rivisto Ulisse dopo anni ed anni trascorsi nell’attesa del suo amato compagno di vita. Dunque l’amato cane  lo riconosce immediatamente e con sforzo immane ritrova la perduta vitalità, quel che basta per dimostrare all’adorato padrone che lo ha riconosciuto e dedicargli quell’ultimo gesto di affetto e di rispetto che 20 anni prima gli era stato negato. Argo ha potuto fare per un’ultima volta le feste al suo padrone. Poi muore. E Ulisse piange. È, questa, l’unica lacrima del forte Ulisse in tutta l’Odissea.                                                                               Dovremo dunque un giorno non lontano, riscrivere la storia e forse aggiungere un ultimo verso “Allora Odisseo stanco ed affamato per il lungo viaggio dalla Cina, lo squartò e lo divorò”? …

Dedichiamo questo brano, nella poetica traduzione di Salvatore Quasimodo, agli uomini giusti che popolano la terra e a tutti gli animali, creature come noi, che allietano la nostra vita e l’anima del mondo, e ingiustamente soffrono a causa della nostra insensibilità e crudeltà:

“Mentre questo dicevano tra loro, un cane

che stava lì disteso, alzò il capo e le orecchie.

Era Argo, il cane di Odisseo, che un tempo

egli stesso allevò e mai poté godere nelle cacce,

perché assai presto partì l’eroe per la sacra Ilio.

Già contro i cervi e le lepri e le capre selvatiche

lo spingevano i giovani; ma ora, lontano dal padrone,

stava abbandonato sul letame di buoi e muli

raccolto presso le porte della reggia

fin quando i servi non lo portavano sui campi

a fecondare il vasto podere di Odisseo.

Là Argo giaceva coperto di zecche.

E quando Odisseo gli fu vicino, ecco agitò la coda

e lasciò ricadere le orecchie; ma non poteva

accostarsi al suo padrone. Odisseo

volse altrove lo sguardo e s’asciugò una lacrima

senza farsi vedere da Eumèo; e poi così diceva:

«Certo è strano, Eumèo, che un cane come questo

si lasci abbandonato sul letame. Bello è di forme;

non so se un giorno, oltre che bello, era anche veloce

nella corsa, o non era che un cane da convito,

di quelli che i padroni allevano solo per il fasto».

E a lui così rispondeva Eumèo, guardiano di porci:

«Questo è il cane d’un uomo che morì lontano.

Se ora fosse di forme e di bravura

come, partendo per Troia, lo lasciò Odisseo,

lo vedresti con meraviglia veloce e forte.

Mai una fiera gli sfuggiva nel folto della selva

quando la cacciava, seguendone abile le orme.

Ma ora, infelice, patisce. Lontano dalla patria

è morto il suo Odisseo; e le ancelle, indolenti,

non si curano di lui. Di malavoglia lavorano i servi

senza il comando dei padroni, poi che Zeus,

che vede ogni cosa, leva ad un uomo metà del suo valore,

se il giorno della schiavitù lo coglie».

Così disse, ed entrò nella reggia incontro ai proci.

E Argo, che aveva visto Odisseo dopo vent’anni,

fu preso dal Fato della nera morte”.