EDUCARE I NOSTRI FIGLI. FACILE A DIRSI, DIFFICILE A FARSI

Per almeno i primi tre anni di vita di mio figlio ho cercato, insieme a sua madre, di evitare tutti i giochi che noi “progressisti” riteniamo dannosi per i bambini. Infatti, a casa mia non è mai entrato un fucile o una pistola. Solo la frequentazione della scuola materna ha parzialmente indotto il nostro comportamento a maggiore tolleranza, fidando anche nel fatto che i primi tre anni di vita di mio figlio – notoriamente più importanti – erano trascorsi sostanzialmente bene e senza troppi problemi. Ecco spuntare qualche regalo di compleanno prima interdetto, da Ben10 (che ovviamente mio padre si ostina a chiamare bendieci facendo imbestialire il nipote per il quale è altrettanto ovviamente benten) a vari Pokemon, uno più brutto dell’altro. Pazienza, dovevo pagare dazio. In ogni caso, e adesso siamo alla prima elementare, ancora nessun fucile o pistola, solo qualche cedimento davanti ad armature e spade ma solo perché “di antichi cavalieri” e quindi di mezzo ci và la Storia e i tanti racconti che la sera mi vedono attore con mio figlio spettatore.

Il mestiere di genitore è da sempre e notoriamente il più difficile del mondo ma, di questi tempi, lo è forse ancora di più. Chi come me ha bimbi in età scolare conosce perfettamente i problemi – enormi – nella gestione di ragazzi che non sono e non possono essere com’eravamo noi ai nostri tempi, contenti per una macchinina in puro ferro resistente per decenni a tutti i traumi e poi….. basta, impegnati con un Santos per ore in una strada o in una ciusa. Ma tant’è, per quanto duro e stressante (concedo sempre qualcosa alle mode linguistiche del momento) è un lavoro che non lesina anche tantissime e commoventi soddisfazioni a chi sa trovarle.

Basta stare attenti ai compagni troppo agitati, a quelli per i quali giocare a botte in testa è normale, e soprattutto ai giocattoli: meglio una Ferrari filocomandata (per le femminucce potrebbe essere una bambola) a un fucile col quale non si può giocare ad altro se non allo scontro, al duello, alla guerra. Ma anche quando i genitori stanno cogli occhi bene aperti davanti agli scaffali dei negozi, è pronto l’agguato davvero letale: la televisione.

Ecco perché considero benedetti i quasi cinquecento euro l’anno che spendo per avere a casa la piattaforma di Sky che permette a mio figlio di vedere, oltre a tutti i venti e passa canali tematici di National Geographic History e Discovery insieme a me, ed anche – da solo – i canali per l’infanzia e l’adolescenza molto selezionati, da Disney Junior a DeaKids.

In questi canali non si vedranno mai i cartoni giapponesi con violenza e sopraffazione, ma solo i vari Manny Tuttofare e Little Einstein. Un attimo di attenzione durante la pubblicità, anch’essa comunque selezionata (sono pubblicizzati ovviamente solo i giochi). Ma poi, ecco la sorpresa. Attenzione, per fortuna nulla di grave e/o di sospetto, ma solo e soltanto di particolare ma, come scritto in premessa, di sintomatico, di emblematico, di significativo relativamente a come la nostra attuale sia ormai una società alla deriva (almeno secondo me).

Capita infatti che durante un passaggio pubblicitario tra un cartone ed un altro, vanno in onda quattro o cinque spot. Tutti ben fatti ed uno in particolare che attrae la mia attenzione perché mi rende contento: è infatti pubblicizzato un libro. Quando ascolto con maggiore attenzione per poter capire come comprare a mio figlio il libro, sento che, con la solita voce gridata degli spot, qualcuno dice “vorrei essere un famoso paleontologo che studia gli scheletri degli antichi dinosauri”. Come vedete nulla di preoccupante. Ma qualcosa di strano c’è, e si nota.

È quella parolina, messa lì forse per pura distrazione, o per una questione di fonetica, di ritmi e di tempi dello spot. Non lo so. Ma sono certo incapace di comprendere il perché nella pubblicità di un libro per bambini e ragazzi il paleontologo che studia i dinosauri debba necessariamente essere “famoso”. A parte il fatto che non credo ci possano essere paleontologi famosi oltre il ristrettissimo cerchio degli studiosi e dei ricercatori della specifica materia, ma al bambino che come tutti i bambini è affascinato dagli antichi rettili estinti, perché inculcare il concetto di fama?