Fare i ravioli di ricotta diventi disciplina nelle nostre scuole

Dal 2018, gli studenti di secondo anno della facoltà di Food Management dell’Università Ritsumeikan di Kyoto (Giappone) sono chiamati a seguire un corso nel quale imparano a fare la pizza, seguendo la rigida ricetta napoletana. I risultati sembrano ottimi, anche se il professore Ishida Masayoshi, in perfetto italiano, preferisce mantenere il basso profilo.

Tra i docenti vi sono esperti pizzaioli provenienti da Napoli e professori giapponesi che per diverso tempo hanno appreso l’arte sotto il Vesuvio. Insegnano ad accendere un forno a legna, a lavorare i vari impasti, a individuare la giusta dose di pomodoro San Marzano, a coltivare il basilico.

Sarebbe bello se, Istituti Alberghieri a parte, anche i nostri studenti imparassero a cucinare in tutte le scuole: primi, secondi, un dolce semplice.
Cucinare per sé e pochi altri è una continua esplorazione in cui serve un minimo di impegno e la passione per il buon cibo, specialmente ora che la scienza sentenzia la nascita di molte malattie quale conseguenza dei comportamenti a tavola.

Spesso i nostri giovani si trasferiscono lontani da casa per frequentare l’Università, senza sapere come impiattare semplici spaghetti al pomodoro o aglio, olio e peperoncino. Così sono costretti a sfamarsi nelle mense d’ateneo, attendere la pizzetta al taglio nel forno vicino a casa o sperare nell’invito di colleghi molto più esperti. L’impressione è che anche molte ragazze, rispetto al passato, abbiano perso la voglia di stare davanti ai fornelli, complici mamme fin troppo accondiscendenti.

Cucinare significa sapere individuare la qualità degli ingredienti, preparare un menu settimanale bilanciato ai propri bisogni, sapere scandire i tempi di preparazione e cottura dei piatti.
Nelle scuole secondarie ragusane si potrebbero organizzare corsi per scoprire la lavorazione delle eccellenze del territorio: il Ragusano Dop, il cioccolato di Modica, il pane casereccio, le scacce, i ravioli con la ricotta, la pasta fresca nelle sue diverse versioni. Una scuola che passi dal “sapere” al “saper fare”. Non finalizzata a sfornare cuochi professionisti, ma chef della propria esistenza.
Mangiare è uno dei piaceri primordiali che noi, per fortuna, deteniamo nel Dna. Va bene il sushi, ma non disperdiamo i patrimoni immateriali della ragusanità.

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