L’appello di Goletta Verde: “Chiediamo al ministro dello Sviluppo economico di cancellare tutti i sussidi ancora oggi garantiti alle fonti fossili e di mettere in campo una rottamazione delle fonti energetiche inquinanti, a partire dal petrolio, per segnare una vera discontinuità con i governi precedenti, sempre pronti a soddisfare ogni proposta delle arroganti compagnie petrolifere”
*L’insensata corsa all’oro nero continua senza tregua e in tutti i modi, nonostante le “rassicurazioni” dei Governi che si sono succeduti dopo il referendum sulle trivelle del 2016: nuovi pozzi e piattaforme e nuove attività di prospezione mettono concretamente a rischio i nostri mari.*
*È il caso della Sicilia, regione sotto scacco delle compagnie petrolifere*, dove oggi Legambiente, *in occasione della tappa di Goletta Verde* ha organizzato un* flash mob* *nelle spiagge di Pietrenere a Pozzallo e di Sampieri* a *Scicli *per dire “basta” alle trivellazioni in mare e ai continui finanziamenti che vengono erogati alle infrastrutture, alla ricerca e alla produzione di energia da fonti fossili. Per l’occasione, l’associazione ambientalista ha lanciato anche la petizione *#NoOil – **Stop alle trivellazioni in mare: fermiamo il business del petrolio! *( bit.ly/2NWh8oI) indirizzata al ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio.
“Nel canale di Sicilia c’è una minaccia vera, fondata sui numeri, che dovrebbe essere al centro delle politiche nazionali che incomprensibilmente sono concentrate sulla presunta emergenza dei migranti non fondata sui dati – dichiara *Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente* – Si tratta delle piattaforme petrolifere in attività, di quelle con progetti di ampliamento, come Vega B di proprietà di Edison ed Eni, e dei nuovi programmi di sviluppo delle estrazioni petrolifere di fronte alle coste siciliane, che rappresentano un rischio concreto per l’economia locale, per il turismo e per la pesca di qualità, oltre che una grave contraddizione con le inevitabili politiche di decarbonizzazione mondiale. Chiediamo al ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio di cancellare tutti i sussidi ancora oggi garantiti alle fonti fossili e di mettere in campo una rottamazione delle fonti energetiche inquinanti, a partire dal petrolio, per segnare una vera discontinuità con i governi precedenti, sempre pronti a soddisfare ogni proposta delle arroganti compagnie petrolifere”.
Caso emblematico in Sicilia è il *progetto Vega B di Eni e di Edison*, al quale già lo scorso anno Legambiente ha deciso di assegnare la bandiera nera: si tratta dell’unica richiesta, nei mari italiani, finalizzata alla realizzazione di una nuova piattaforma petrolifera a meno di 12 miglia dal sito di interesse comunitario Fondali Foce del fiume Irminio.
Il blocco Vega, che nel suo progetto originario prevedeva il raddoppio delle piattaforme, in questi anni è stato oggetto di diverse controversie, a partire da quelle legali. Fu lo stesso Ministero dell’Ambiente, con l’allora Ministro Galletti, a costituirsi parte civile contro i 6 manager e dirigenti di Edison ed Eni in un processo per smaltimento illecito di rifiuti in corso presso il Tribunale di Ragusa e chiuso con la prescrizione, a causa dello spostamento del Tribunale di competenza. Un danno quello calcolato dal Ministero pari a 69 milioni di euro, provocato dallo sversamento, tra il 1989 e il 2007, a 2.800 metri di profondità, di 147mila mc di rifiuti petroliferi altamente inquinanti e contenenti metalli pesanti e idrocarburi, 333mila mc di acque di lavaggio della cisterna della nave di stoccaggio di greggio e 14mila mc di acque di sentina. Pari al contenuto di 12.500 autocisterne.
Nonostante questo, nel 2015 il Ministero dell’Ambiente diede parere positivo alla Valutazione di Impatto Ambientale per lo sviluppo di una nuova infrastruttura da 4 pozzi, come se non bastasse, concesse il rinnovo del permesso per ulteriori 10 anni, consentendo così ai due colossi di richiedere un ulteriore permesso per altri 8 pozzi di estrazione – la famosa Vega B – a meno di 12 miglia dalla riserva naturale del fiume Irminio, situata tra Ragusa e Scicli. Autorizzazione arrivata poco prima che lo stesso Governo, sotto la pressione dell’opinione pubblica, che in quei mesi era fortemente mobilitata contro tutte le perforazioni nei mari italiani, approvò il divieto di nuove perforazioni (entro le 12 miglia).
Visti i pozzi in esaurimento, i due colossi energetici hanno richiesto di poter proseguire con le operazioni di sviluppo presentate 32 anni prima, ma ricadente all’interno della fascia di protezione delle 12 miglia dal sito di interesse comunitario “Fondali e foce del fiume Irminio”, luoghi in cui, secondo Legambiente, che presentò alla Commissione di Via, approfondite osservazioni, nulla poteva essere autorizzato. Affare petrolifero che i due colossi avevano giustificato con il fatto che la nuova piattaforma era semplicemente il completamento del progetto originario. Criticità che riguardavano aspetti ambientali, ma anche quelli procedurali e del rischio legato a questa nuova ulteriore espansione.
Osservazioni accolte dalla Commissione VIA del Ministero dell’Ambiente a gennaio 2018, bocciando la richiesta dei nuovi 8 pozzi. Una vittoria importante per il territorio siciliano e per tutti i cittadini, anche contro l’arroganza di Eni ed Edison che invece auspicavano un parere positivo nonostante il rischio sismico, gli evidenti impatti ambientali, oltre ai danni ai cetacei e alla fauna marina, oltre alla vicinanza al sito Sito di interesse comunitario (Sic) Fondali Foce del fiume Irminio
La *Sicilia*, tra attività a terra e mare, *nel 2017 ha contribuito con il 17,8% della produzione nazionale di petrolio*, con 735 mila tonnellate (rispettivamente 506,5 mila tonnellate sulla terraferma e 228,6 mila tonnellate in mare) estratte nel 2017, e il 3,6% di gas con 201,2 milioni di Smc, quantità che, stando agli attuali consumi, coprirebbero l’1,3% del fabbisogno del nostro Paese attraverso la produzione di olio e lo 0,3% con quella di gas. Si tratta di numeri certamente poco incidenti ma che nei territori interessati dai progetti di trivellazione portano a rischi ambientali importanti.
Sono 8 in totale le *concessioni produttive di petrolio* *in territorio siciliano* (3 in mare e 5 sulla terraferma) per un totale di 904,3 chilometri quadrati. A spartirsele solo 3 società: Eni Mediterranea Idrocarburi (che detiene 5 concessioni in esclusiva e 1, S. Anna, insieme a Edison ed Irminio), la Edison ne detiene una al 60% mentre la Irminio un titolo in esclusiva e S. Anna al 30%. I pozzi produttivi presenti nelle otto concessioni sono 162, di cui 87 risultano eroganti e 75 non eroganti. Le piattaforme nelle concessioni a mare sono in tutto 5.
*Sul fronte del gas*, invece, le *concessioni produttive in Sicilia* sono in totale 15 (3 a mare e 12 sulla terraferma) per un totale di 1.166 kmq. La produzione di questi giacimenti, nel 2017, è stata pari a circa *201,2 milioni di Smc* (rispettivamente 3,9 milioni di Smc a mare e 197,3 milioni di Smc sulla terraferma), pari a circa il 3,6% della produzione nazionale. Sono sempre Eni ed Edison ad avere la maggior parte delle concessioni siciliane, infatti sono soltanto 3 le società: Eni Mediterranea Idrocarburi che detiene ben 11 concessioni in esclusiva e 1 (S. Anna al 45%) insieme a EDISON Ed IRMINIO, la Edison che ne detiene 1 in esclusiva e una al 60% con Eni, mentre la Irminio ne ha uno in esclusiva e S. Anna al 30% con Edison e Eni Mediterranea. I pozzi produttivi presenti nelle 15 concessioni sono 208 di cui 138 risultano eroganti e 70 non eroganti. Le piattaforme nelle concessioni a mare sono in tutto 5. Le concessioni più produttive come quantitativi di gas estratto sono quelle di Bronte S. Nicola e Fiumetto, che nel 2017 hanno estratto rispettivamente 39,0 e 54,7 milioni di Smc, ma che hanno visto nel corso di questi otto anni una riduzione del 42,1% e 53,2% rispettivamente. Analoga situazione per le altre due concessioni Case Schillaci e Gagliano che hanno avuto contrazioni di estrazione di gas rispettivamente per il 53,7% e per il 49,6%, dopo picchi di produzione tra gli anni 2011 e 2012. Le concessioni che hanno incrementato la loro produzione, seppur per modeste quantità totali di gas, sono la concessione in mare C.C 1.AG (incremento del 142,9%) e quella a terra S.ANNA (incremento del 176,7%).
Oltre alle concessioni produttive, sul territorio siciliano ricadono anche 12 *permessi di ricerca*: 7 sono ubicati sulla terraferma che interessano 4.501 kmq e 5 sono ubicati a mare, 2.065,6 kmq, per complessivi 6.566,8 kmq. Il 21,6% (1.421,1 kmq) di tali permessi, in termini di area di investigazione, sono intestati alle Società Eni ed Edison, affidatari di complessivi 3 permessi di ricerca, tra proprietà e comproprietà. Considerando inoltre i 4 permessi di ricerca di Eni Mediterranea Idrocarburi, che riguardano 2.929,2 kmq, si arriva complessivamente ad interessare, tra mare e terraferma un’area di 4.350,3 kmq, pari al 66,2% della superficie totale destinata alla ricerca di idrocarburi.
Oltre a questi permessi già rilasciati, sono 14 le *istanze di permesso di ricerca* presentate dalle diverse compagnie, 10 delle quali per la terraferma, per un totale di 4.203 kmq; le rimanenti 4 sono quelle presentate per il mare, per un totale di 1.581,7 kmq. Sono invece 2 le istanze di prospezione in mare per un totale di 6.380 kmq.
A rendere conveniente l’estrazione di fonti fossili in Sicilia vi sono poi le *royalties*: dal 2010 al 2017, su otto concessioni produttive di greggio in Sicilia, sono stati estratti 7,9 milioni di tonnellate di petrolio, di cui 1,8 milioni, pari a circa il 23%, grazie ai sussidi diretti forniti dallo Stato, sono risultate esenti dal pagamento delle royalties. Il 30,5% solo nel 2017. Esente dal pagamento di royalties anche il 61,8% di gas estratto dalle 12 concessioni produttive di gas, pari a 2,24 miliardi di Smc. In questi anni, poi, la percentuale di esenzione non è scesa mai al di sotto del 50%, negli ultimi 3 anni (2015, 2016, 2017) le percentuali di esenzione sono state rispettivamente del 73,2%, 74,7% e 76,0% della produzione totale siciliana. Regali che rendono la Sicilia un Texas petrolifero, dove gli interessi nel proseguimento alle attività petrolifere non si sono mai fermati.
“I numeri in Sicilia raccontano bene non solo il ruolo, oggi ancora determinante delle fonti fossili anche a causa di politiche mancanti di sviluppo di un nuovo sistema energetico innovativo e rinnovabile – continua * Ciafani* – ma anche come le produzioni siano in costante riduzione da anni. Scegliere di continuare a produrre gas e petrolio non solo mette a rischio il raggiungimento degli obiettivi climatici previsti per il 2050, ma anche quelli di sviluppo locale della Regione Sicilia. Per arrestare i cambiamenti climatici, ma anche per ridurre e combattere l’inquinamento atmosferico e migliorare la qualità di vita dei cittadini è di fondamentale importanza uscire dalle fonti fossili, ancora oggi al centro non solo della copertura dei consumi energetici del nostro Paese ma anche in termini di sviluppo di molte aziende che operano nei nostri territori. Le rinnovabili, infatti, coprono il 17,4% dei consumi totali nazionali e il 32% di quelli elettrici, una crescita sicuramente importante ma non sufficiente per rispettare gli obiettivi climatici e di decarbonizzazione al 2050. Non solo, ma il avviare il cambio di rotta verso un futuro 100% rinnovabile”.