FRA DOLCINO

Fra Dolcino, nacque in Piemonte, ma  non si conosce la località precisa, tra il 1250 e i 1260.

Scarse sono anche le notizie sulla sua infanzia e giovinezza, pare comunque che abbia compiuto gli studi a Vercelli e che si disse avesse commesso un piccolo furto e che per questo avesse dovuto fuggire  e vivere semiclandestino per qualche anno, ma in realtà fuggì per ragioni politiche; l’istaurazione guelfa (fedele al papa) aveva fatto scappare le famiglie ghibelline (fedeli all’imperatore). Nel 1291 divenne seguace di Gherardino Segalello da Parma. Questi aveva fondato un movimento di penitenza e di ritorno alle origini dell’eguaglianza cristiana e della più stretta povertà: gli Apostolici. Condannato, fu arso sul rogo come eretico il 18 luglio 1300. Fra Dolcino divenne il suo erede spirituale.

La predicazione di Dolcino si svolse soprattutto nella zona del lago di Garda e visse (fonti certe) ad Arco in Trentino. Nel 1303, predicando nei dintorni di Trento, conobbe Margherita Boninsegna da Cimego, figlia della contessa Oderica di Arco ed educata in convento, che divenne la sua compagna e lo affiancò anche nella predicazione. Va detto che Dolcino non prese i voti e il titolo di “fra” pare fosse solo una contrazione di ‘fratello’ in uso tra gli Apostolici.

La rigorosa coerenza con ciò che predicava, al contrario di molti prelati, ebbe grande seguito e questo attirò l’ira della Chiesa, anche perché nella predicazione condannava il lusso sfrenato di Roma. A papa Bonifacio VIII (1230-1303), profetizzava la sua prossima fine e lo sterminio di preti e monaci ad opera di Federico, re di  Sicilia e che nel 1305 avrebbe ottenuto giustizia e pace tra i  Cristiani.

Ma gli inquisitori avevano già istituito vari processi contro di lui e i suoi seguaci.

Per sfuggire alla caccia scatenata contro di lui si spostò con tremila persone verso il Vercellese e la Val Sesia in Piemonte, sua terra d’origine. Si dice che il nome di Campodolcino, (un paese vicino a Chiavenna), sia una diretta testimonianza di questo esodo.

All’inizio i dolciniani si si insediarono nella parte bassa della valle tra Gattinara e Serravalle in località Piano di Cordova e il gruppo aumentava sempre più per nuovi arrivi  da Bologna, Toscana e Umbria.

Sotto l’incalzare dei vescovi di Vercelli e di Novara , si rifugiò prima in un paesetto  a mezzacosta e poi difendersi meglio su una montagna, dove i superstiti (circa 1500 persone) si asserragliarono tutto l’inverno  del 1304, ma la fame e il freddo li induceva a fare sortite a valle, nei villaggi sottostanti, per razziare cibo. Tutto è puro per i puri diceva Dolcino, citando san Paolo, per giustificare i suoi.

Ma l’inverno successivo fu molto più rigido e l’assedio delle truppe papali, vescovili e dei valligiani fu incisiva, tanto che Margherita Boninsegna, coraggiosamente, decise un’operazione di sganciamento dall’assedio  attraverso le montagne e i passi innevati, fino ad una nuova roccaforte, il Monte Rubello, vicino a Trivero in provincia di Vercelli dove giunsero nel marzo del 1306.

 

L’errore politico di Dolcino, errore comune ai contestatori e condottieri di rivolte, fu quello di non aver saputo o di aver trascurato di assicurarsi l’alleanza delle forze politiche organizzate del suo tempo, che erano la feudalità, la borghesia comunale e la gerarchia ecclesiastica.

Riuscì a resistere in Val Sesia finché la coalizione di queste forze non fu completa e salda Egli fu travolto quando, il Raniero degli  Avogadro  Vescovo di Vercelli, riuscì a saldarla.

Veniva poi raccontato artatamente che i seguaci di fra Dolcino fossero spietati criminali, razziassero, incendiassero, mutilassero e massacrassero ogni cosa che trovavano sul loro cammino.

Una   bolla papale di Clemente V del 26 agosto 1306 recitava tra l’altro: Chiunque indossi la veste con croce e si appresti a partire verso le valli del Novarese e Vercellese per combattere l’eresia dolciniana avrà rimessa la totalità dei peccati.

Oramai completamente circondati fra Dolcino e i suoi resistettero ancora circa un anno, con  la forza della disperazione e ormai ridotti in condizioni disumane dopo un ultimo assalto, si arresero infine nel 1307. I sopravvissuti furono passati per le armi e furono catturati vivi Margherita, Dolcino, e Longino Cattaneo di Bergamo, suo luogotenente, il 25 marzo  (Giovedì Santo). Furono condannato a morte, Margherita e Longino, arsi vivi sulle rive del torrente Cervo che scorre vicino a Biella e Dolcino processato e condannato dovette assistere all’esecuzione dell’amata compagna, il 1 giugno 1307, fu condotto su un carro attraverso la città di Vercelli, venne sottoposto a grandi tormenti, e con resistenza non comune, senza gridare né lamentarsi, seppe sopportare, infine fu issato sul rogo e arso vivo a sua volta.

Dante lo cita nella Divina Commedia nell’inferno, per bocca di Maometto gli preannuncia il suo arrivo nella bolgia dei seminatori di discordie e dei sismatici:

« Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,
tu che forse vedrai lo sole in breve,
s’egli non vuol qui tosto seguitarmi,

sì di vivanda, che stretta di neve
non rechi la vittoria al Noarese,
ch’altrimenti acquistar non sarìa lieve. »

Inferno XXVIII, 55-60