Giosuè Carducci è nato nel 1835 a Valdicastello (Lucca), ma trascorse l’infanzia e l’adolescenza a Bolgheri nella frazione di Castagneto (oggi Castagneto Carducci) in provincia di Livorno, dove il padre era medico condotto.
La sua vita in Maremma, è rievocata soprattutto nel famoso sonetto Traversando la Maremma toscana. Ma in seguito il padre fu costretto a trasferirsi a Firenze. In questa città compì gli studi ginnasiali, entrando poi nella Scuola Normale Superiore di Pisa dove si laureò in filologia e filosofia nel 1856. Nello stesso anno, assieme a tre compagni di studi (Giuseppe Chiarini, Torquato Gargani e Ottaviano Targioni-Tozzetti) fondò il gruppo degli “Amici pedanti”, che si adoperava per la difesa del classicismo contro i cosiddetti manzoniani e la poesia del Prati e dell’Aleardi, che all’epoca erano imperanti.
Nel biennio 1856-57 insegnò al ginnasio di San Miniato al Tedesco (Pisa). Questa esperienza è rievocata in una celebre prosa, Le “risorse” di San Miniato (1883); fu proprio qui che avvenne il suo esordio di poeta, con un piccolo volume di rime uscito nel 1857. Successivamente fu sconvolto da due gravi lutti: alla fine del ’57 morì il fratello Dante, non si sa con sicurezza se suicida o ucciso dal padre che, pochi mesi dopo, morì a sua volta.
Nel 1859 sposò Elvira Menicucci e, l’anno successivo venne chiamato, dal ministro dell’istruzione Terenzio Mamiani, a ricoprire la cattedra di eloquenza (ossia letteratura italiana) all’Università di Bologna. Ebbe così inizio un lunghissimo periodo di insegnamento che durò fino al 1904 (gli successe, come è noto Giovanni Pascoli), che fu caratterizzato da una attenta e appassionata attività filologica e critica, cui le opere più famose sono lo studio delle poesie popolari bolognesi dei secoli XIII e XIV, ritrovaste poi nei Memoriali dell’Archivio Notarile di Bologna (1876); la Storia del “Giorno” di Giuseppe Parini (1888) e l’edizione commentata delle Rime del Petrarca con la collaborazione di Severino Ferrari, suo allievo (1899).
Negli anni ’60, Carducci, fu molto critico con il governo postunitario, perché riteneva si comportasse con debolezza (questione romana e arresto di Garibaldi, per esempio), al punto che assunse un atteggiamento filo repubblicano. Ne risentì, ovviamente, la sua attività caratterizzata da una ricca tematica sociale e politica (vedi soprattutto i Giambi ed epodi).
Negli anni successivi, la realtà storica italiana mutò e Giosuè Carducci passò da un atteggiamento polemico e rivoluzionario piuttosto violento, a un rapporto più sereno con lo stato e la monarchia, che finì col sembrargli il migliore garante dello spirito laico del Risorgimento (non dimentichiamo il sempre presente pericolo clericale) e di un progresso sociale non sovversivo (di contro al diffondersi del pensiero socialista).
L’atteggiamento di simpatia monarchica ne è la prova nella famosa ode alla regina Margherita (1878), culminata nel 1890, con la nomina a senatore del regno; una consacrazione definitiva della sua nuova veste di poeta “ufficiale”.
Nel 1906 fu insignito del premio Nobel per la letteratura; morì a Bologna nel 1907.
Ed ora una poesia del Carducci. Poco conosciuta, forse, ma molto bella.
NOSTALGIA
Tra le nubi ecco il turchino
Cupo ed umido prevale:
Sale verso l’Appennino
Brontolando il temporale.
Oh se il turbine cortese
Sovra l’ala aquilonar
Mi volesse al bel paese
Di Toscana trasportar!
Non d’amici o di parenti
Là m’invita il cuore e il volto:
Chi m’arrise a i dí ridenti
Ora è savio od è sepolto.
Né di viti né d’ulivi
Bel desio mi chiama là:
Fuggirei da’ lieti clivi
Benedetti d’ubertà.
De le mie cittadi i vanti
E le solite canzoni
Fuggirei: vecchie ciancianti
A marmorei balconi!
Dove raro ombreggia il bosco
Le maligne crete, e al pian
Di rei sugheri irto e fosco
I cavalli errando van.
Là in Maremma ove fiorío
La mia triste primavera,
Là rivola il pensier mio
Con i tuoni e la bufera:
Là nel ciel nero librarmi
La mia patria a riguardar,
Poi co ‘l tuon vo’ sprofondarmi
Tra quei colli ed in quel mar.
di Adelina Valcanover