Generalmente quando si parla di vini rossi del sud, si pensa a vini morbidi, fruttati, robusti e certamente gradevoli. È anche vero, però, che si pensa anche a vini non particolarmente complessi e poco propensi all’invecchiamento. Facendo il paragone con i grandi, nebbiolo e sangiovese, viene in rilievo il fatto che sono pochissimi i vini del sud che possono vantare simili maturazioni in bottiglia. Escludendo il Marsala, e ovviamente non tutti i Marsala ne sono capaci, sono pochi i vini meridionali che possono superare i 20 anni d’invecchiamento.
I motivi che permettono a un vino di invecchiare sono svariati e i tentativi di semplificazione, che tendono a ridurre le cause a uno o due fattori, non rendono giustizia a questo “miracolo” enologico. È indubbio che l’uvaggio abbia un ruolo di rilievo in questo processo, ma da solo non basta; altrimenti tutti i vini prodotti da nebbiolo, uva particolarmente propensa all’invecchiamento, dovrebbero poter invecchiare senza problemi, ma così non è. Certo l’uvaggio è particolarmente importante, ma teniamo conto che anche uvaggi considerati non adatti a lunghi invecchiamenti, possono in certi casi smentire queste affermazioni. Pensiamo al nero d’Avola, vitigno sicuramente interessante, ma che in passato veniva considerato un semplice vitigno adatto a dare gradevoli vini da tavola. Grazie ai miglioramenti apportati in campo enologico e all’ammodernamento delle tecniche di vinificazione si è riusciti a scoprire che anche quest’uva è capace, quando ben trattata, di produrre vini di discreto invecchiamento e in alcuni casi, pochi a dire il vero, può superare i dieci anni senza presentare alcuna nota di stanchezza.
C’era però un’eccezione. Già in passato un vitigno meridionale si era fatto notare per la sua longevità. Si tratta dell’aglianico, un vitigno molto diffuso in Campania, Basilicata, Molise e Puglia settentrionale. La fama di vino longevo gli viene però da due denominazioni: il basilisco Aglianico del Vulture e il campano Taurasi.
L’ultimo in particolare ottenne da prima l’attenzione degli esperti ed è anche il primo vino del Meridione che si è fregiato della DOCG. La poderosa struttura, la fitta trama tannica e la longeva capacità d’invecchiamento gli hanno meritato l’appellativo di “Barolo del Sud”. Sebbene il Taurasi, a differenza dell’Aglianico del Vulture, può essere prodotto anche con l’aggiunta di altri vitigni, i migliori esempi di questo vino si ottengono ove le percentuali dei vitigni secondari sono notevolmente basse o del tutto assenti.
Il Taurasi non è assolutamente un vino da bere giovane. Già la sua maturazione in cantina prevede almeno i tre anni, di cui uno in legno. Per la versione Riserva si arriva ai quattro anni, prima che possa essere messo in commercio.
L’aglianico è un’uva tintoria, quindi il vino è particolarmente scuro in gioventù, ma con gli anni vira al colore mogano.
Possiede un bagaglio olfattivo veramente ampio già da giovane, ma che si gusta per intero solo dopo una lunga maturazione. Una caratteristica dell’aglianico è un velato sentore olfattivo che per molti penalizza l’eleganza del vino. Proprio per questo molti produttori hanno domato questo sentore con l’uso della barrique, a volte in eccesso. Effettivamente il caratteristico odore dell’aglianico può sembrare a un primo acchito poco raffinato, ma è il suo marchio caratteristico che evita al Taurasi di passare all’anonimato. In verità questo sentore tende ad attenuarsi o quanto meno a fondersi con altri profumi dopo un lungo invecchiamento. Invecchiamento che attenua anche il suo carattere possente, che risulta troppo pesante in giovane età. Proprio come è stato detto prima, il Taurasi non è un vino da consumare giovane. Lo si può apprezzare soltanto dopo diversi anni. Proprio come il Barolo.