IL CALCIO, QUELLO VERO… di Luisa Montù

Quando finisce il campionato gli appassionati di calcio piombano in una specie di crisi d’astinenza. Quest’anno ci sono stati i Mondiali, anche se del tutto privi di soddisfazione per noi, ma, finiti quelli, i calciomani, per placare la loro sete di pallone, si sono buttati sulle notizie di calciomercato. Sul canale 200 di sky va in onda uno “Speciale calciomercato” che dovrebbe soddisfare le loro esigenze. L’altro giorno però chi si è sintonizzato su quella trasmissione è rimasto completamente spiazzato: si parlava di matrimoni. Certo, anche i calciatori si sposano, ma al tifoso che gliene importa finché il fatto non incide sulle sorti della squadra del suo cuore? Sì, va bene, si è detto, Baptista si sposa, ma la Roma riesce a venderlo senza rimetterci? Scapolo o ammogliato non cambia il fatto che l’anno scorso abbia giocato male. Il tifoso ascoltava, ascoltava, ma di cessione non si parlava e si passava alle nozze di giocatori di altri campionati, dei cui matrimoni a noi può importare ancora meno, se possibile, di quelli dei nostri campioni. Qualche lettore sta per dire che quello di quest’estate è un calciomercato povero, le squadre hanno pochi soldi, i grandi colpi non riescono a farli, forse ne riuscirà qualcuno verso la fine, quando i prezzi cominceranno a scendere. Di cosa si può parlare adesso se non succede niente? Certo, se in Italia esistesse solo il campionato di serie A, anzi solo quelle tre squadre che, grazie ai loro proprietari, esigono l’attenzione dei potenti, l’osservazione non farebbe una grinza. Però non è così: il nostro paese annovera anche serie B e C, oltre alle serie minori. Provate a chiedervi per quale motivo i tifosi in Italia sono per la maggior parte suddivisi fra certe squadre indipendentemente dalla città nella quale sono nati anziché manifestare l’attaccamento istintivo per quella della propria città. E questo accade nonostante, a differenza di tanti altri paesi, ogni città, cittadina o paesello abbia la sua compagine che milita in una serie, maggiore o minore che sia. Sì, certo, la massa tende a schierarsi col più forte nell’illusione di ricevere su di sé un po’ di quella forza, ma lo farà molto di più se le radio e le televisioni lo martelleranno dalla mattina alla sera con le notizie di quelle squadre e solo di quelle, preferendo trasmettere in un programma che dovrebbe essere sportivo l’insulsa storia di qualche matrimonio vip pur di non affrontare argomenti dei quali molto probabilmente nemmeno sono al corrente, ma che pure riguardano uno sport che coinvolge un’intera nazione. Quanti tra voi lettori ha mai avuto notizia, per esempio, del Gallipoli, che stava lottando per la promozione (era in seconda posizione a una minima distanza dalla prima) quando i suoi giocatori andavano avanti senza ricevere lo stipendio e affrontavano le trasferte in treno, uno di quei treni che si fermano a ogni stazioncina, anche la più piccola e sperduta, impiegando un giorno per un tragitto che in pullman avrebbe richiesto al massimo un paio d’ore? Poi le vicende societarie hanno portato il Gallipoli al fallimento, quindi la sua avventura ha avuto un che di glorioso e affascinante e tragico che avrebbe dovuto entusiasmare qualsiasi giornalista. Ma il giornalismo oggi, nelle grandi realtà nazionali, è diventato tutta un’altra cosa.  Quello che conta è servire il potente e fargli ottenere il consenso popolare, di quello che succede accanto a noi, se non serve a portarci denaro e gloria, che ce ne importa?